Beati voi

Durante il periodo del Plan Condor vi fu un motivo di attrito tra Argentina e Cile dovuto al possesso di tre isole nel Canale di Beagle: nel 1977 l’Argentina rifiutò l’arbitrio del Regno Unito che le aveva assegnate al Cile. Alla fine del 1978 i due paesi  furono sul punto di aprire un conflitto armato evitato grazie all’intervento di Papa Giovanni Paolo II, che iniziò un processo di mediazione e nominò come suo rappresentante il cardinale Antonio Samoré. Il Papa visitò poi il Cile nell’aprile 1987, l’allora nunzio apostolico nel Paese Angelo Sodano promosse con forza quell’incontro. Il Papa si affacciò al balcone della Moneda con il generale e impartì una benedizione ai funzionari del governo. Il 18 febbraio del 1993 furono recapitate al criminale Pinochet due lettere di auguri da parte del papa Wojtyła e del Segretario di Stato Angelo Sodano in occasione della ricorrenza delle sue nozze d’oro.

Madrid, Casa de America

Un laboratorio di idee, un punto di incontro per le relazioni fra i paesi della Comunità ibero-americana, che promuove il contatto fra Europa e America. La Casa de América di Madrid cerca di approfondire la conoscenza culturale e sociale fra i due lati dell’Atlantico, esplorando la grande ricchezza intellettuale ed artistica di questi territori che condividono la medesima lingua. Si tratta di un’Istituzione pubblica che si pone come strumento di integrazione e cooperazione fra i paesi iberoamericani attraverso un’attività varia ed intensa: cinema, mostre, concerti, conferenze e molte altre iniziative che vedono protagoniste sia le figure già consacrate che i talenti emergenti. Un luogo di incontro privilegiato per la grande comunità di artisti ed intellettuali iberoamericani, senza barriere geografiche o temporali. E’ possibile visitarla anche attraverso la Rete poichè dispone di un canale televisivo dedicato ed un ricco calendario di attività per bambini. Interessante anche l’organizzazione del sito, le categorie potrebbero tradursi come: dilettati, scopri, pensa, vieni…tutto un programma.

http://www.casamerica.es/

La leggenda della Xtabay

In questa leggenda maya, originaria della penisola dello Yucatán, sono evidenti alcune influenze cattoliche nella separazione fra virtù e lascivia, ma con esiti decisamente contrari a quelli che ci si aspetterebbe. Alcuni tratti evocano miti di altre parti del mondo riguardanti le mangiatrici di uomini come la Maga Circe, Calipso o Cleopatra. L’indigenista Ermilo Abreu Gómez trattò ampliamente l’argomento nella sua monografia La Xtabay del 1919. Il mito dell’implacabile Xtabay si diffonde in risposta ad una società coloniale sacrificata a nuovi valori che negano qualsiasi esercizio del potere alla sfera femminile. Questo il motivo dunque della diffusione della leggenda di una giovane donna indigena che vaga per i sentieri maya esercitando un controllo totale sulla volontà e i desideri degli uomini che li attraversano. Divertitevi:

In un villaggio vivevano due donne; una era chiamata dai vicini la XKEBAN, ovvero la peccatrice, l’altra la UTZ-COLEL, cioè la donna buona. La XKEBAN era molto bella, ma cadeva continuamente nel peccato d’amore. Perciò le persone onorate del luogo la disprezzavano e rifuggivano dalla sua presenza. In più di un’occasione si era pensato di cacciarla dal villaggio, sebbene alla fine si preferì tenerla vicino per poterla disprezzare. La UTZ-COLEL era virtuosa, retta e austera oltre che bella. Non aveva mia commesso un peccato d’amore e godeva della stima di tutto il vicinato.  Nonostante i suoi peccati, la XKEBAN era molto compassionevole e soccorreva i mendicanti che le chiedevano aiuto, curaba i malati abbandonati, e badava agli animali; era umile di cuore e subiva rassegnata le ingiurie della gente. Sebbene virtuosa nel corpo, la UTZ-COLEL era rigida e dura di carattere: disdegnava gli umili considerandoli inferiori e non curava gli infermi per repulsione.  La sua vita era retta come quella di un palo, mal il suo cuore soffriva come la pelle del serpente. Un giorno successe che i vicini non videro uscire di casa la XKEBAN, passo un altro giorno, lo stesso; e un altro, e un altro. Pensarono che la XKEBAN era morta abbandonata; solo i suoi animali veglavano il suo cadavere, leccandole le mani e allontanado le mosche. Il profumo che invadeva l’intero villaggio si sprigionava dal suo corpo. Quando la notizia arrivò alle orecchie della UTZ-COLEL, lei rise con disprezzo. E’ impossibile che il cadavere di una grande peccatrice possa sprigionare un qualsiasi profumo – esclamò. Più che altro puzzerà di carne putrida. Ma era una donna curiosa e volle sincerarsi di persona. Arrivata nel posto, al sentire il profumo disse: deve essere un artificio del demonio, per ammaliare gli uomini, e aggiunse: se il cadavere di questa donna cattiva profuma così intensamente, il mio profumerà ancor di più. Al funerale della XKEBAN parteciparono solo gli umili e chi era stato aiutato, i malati che aveva curato; ma per tutto il tragitto del corteo si sprigionò l’intenso profumo, il giorno dopo la tomba era coperta di fiori silvestri. Poco tempo dopo morì la UTZ-COLEL, era morta vergine e sicuramente il cielo si sarebbe aperto immediatamente per far passare la sua anima. Ma, sorpresa! Contrariamente a ciò che lei stessa e tutti gli altri si aspettavano, il suo cadavere iniziò a diffondere una puzza insopportabile, come di carne putrida. I vicini attribuirono questo fenomeno a degli imborgli del demonio e tutti accorsero numerosi al suo funerale portando fiori per adornare la sua tomba: fiori che al mattino sparirono per “i malvagi sortilegi del demonio”, tornarono a dire. Passò il tempo, ed è noto che dopo la sua morte la XKEBAN se convertì in un fiorellino dolce, semplice, odoroso chiamato XTABENTUN. Lì’essenza di questo fiorellino inebria dolcemente cpsì come inebriò in vita l’amore della XKEBAN. Invece, la UTZ-COLEL dopo morta divenne il fiore di TZACAM, un cactus contornato di spine da cui spunta un fiore, bello ma senza alcun profumo, anzi puzza sgradevolmente ed è facile pungersi toccandolo. Trasformata nel fiore TZACAM la donna iniziò a riflettere, invidiosa, sull’estremo caso della XKEBAN, fino ad arrivare alla conclusione che sicuramente visto che i suoi peccati erano stati d’amore, le successe tutto il bene che ebbe da morta. Così pensò di imitarla anche nell’amore. Senza rendersi conto che, se le cose erano andate così, ciò dipendeva dalla bontà di cuore della XKEBAN, che si dava all’amore per un impulso generoso e naturale. Chiamando in suo aiuto gli spiriti malvagi, la UTZ-COLEL riuscì ad avere il potere di tornare al mondo ogni volta che voleva, trasformata nuovamente in donna, per far innamorare gli uomini, ma con un amore nefasto, in quanto la durezza del suo cuore non le consentiva altrimenti. Sappia chi vuole saperlo che è la donna XTABAY quella che esce dal fiore TZACAM, fiore di cactus spinoso e rigido, che quando vede passare un uomo torna alla vita e lo nasconde sotto rovi frondosi mentre pettina i suoi lunghi capelli con un pezzo di TZACAM. Segue gli uomini finchè riesce ad attrarli, poi li seduce ed infine li uccide nella frenesia di un amore infernale.

Tratta da Mario Diaz Triay, Guia Turística de la Península de Yucatán – La tierra de los Mayas del 1979

Per approfondire in spagnolo: http://www.mayas.uady.mx/articulos/art_02.html

Una “extracomunitaria” per fare l’Italia

Non saprei dare torti e ragioni. Non ho abbastanza elementi per parteggiare con cognizione di causa per l’una o l’atra fazione. Resta solo che tutte hanno combattuto giocandosi il tutto per tutto, mescolando gli ideali a condizioni e sentimenti personali. Il risultato di questo conflitto è un posto chiamato Italia. Brigantesse, combattenti, coraggiose donne contro corrente: tra loro la più nota Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, conosciuta come Anita (Laguna, Brasile 30 agosto 1821- Mandriole di Ravenna, Italia 4 agosto 1849). Quel che credo sia più importante ora è ricordare le loro storie, farle emergere dall’oblio, per questo saluto con piacere le riprese della miniserie Rai che andrà in onda in autunno su Anita Garibaldi,  interpretata da Valeria Solarino e Giorgio Pasotti con la regia di Claudio Bonivento incentrata sui dieci anni della relazione tra Garibaldi e Anita, dal 1839 data dell’incontro della coppia in Brasile in cui lei aveva 18 anni e lui 32, alla sua morte nelle paludi del ravennate durante i moti del ‘48.

Anita, un monumento di Mario Rutelli del ’32 al Gianicolo la ricorda al galoppo, con un figlio in braccio ed una pistola nella mano, sotto ora sono custodite le sue ceneri. L’unica donna profondamente amata da Garibaldi, giovanissima si legò a lui, condividendo fino alla fine una vita avventurosa e complicata, fatta di stenti e sacrifici, ma anche e soprattutto di ideali e battaglie per terra e per mare, dall’America all’Italia.

Brasiliana figlia di un mandriano, in famiglia era chiamata Aninha, diminutivo di Ana in portoghese. Fu Garibaldi ad attribuirle il diminutivo spagnolo di Anita, con il quale è universalmente nota. Dopo che la famiglia si fu trasferita a Laguna, nel 1834, in pochi mesi morirono il padre e tre fratelli maschi. Il trasferimento sembra si fosse reso necessario per allontanarsi dalle minacce di vendetta di un carrettiere di Morrinhos, luogo in cui vivevano, il quale, avendo importunato Anita con “modi poco rispettosi”, si era visto sfilare il sigaro di bocca dalla ragazzina che glielo spense sul viso. Il 30 agosto 1835, a 14 anni, Anita diventa moglie di un calzolaio, Manuel Duarte de Aguiar, nella cittadina di Laguna, lo attesta un atto di matrimonio ancora esistente ed una testimonianza dello stesso Garibaldi nelle sue “Memorie“. Nel luglio del 1839 incontra Garibaldi a Laguna, da quel momento, dopo aver abbandonato il marito, Anita sarà la donna di Garibaldi, la madre dei suoi figli e compagna di tutte le sue battaglie. Combatterà sempre al pari degli uomini. All’inizio del 1840, nella battaglia di Curitibanos, cade prigioniera delle truppe imperiali brasiliane. Il comandante, molto colpito dal temperamento della ragazza, le concede di cercare il cadavere del marito sul campo di battaglia. Anita, approfittando della distrazione delle guardie, ruba un cavallo e fugge. Si ricongiunge con Garibaldi a Vacaria, nel Rio Grande Do Sul. Il 16 settembre 1840 nasce il loro primo figlio al quale danno il nome di Menotti, in onore del patriota Ciro Menotti. Dodici giorni dopo il parto, Anita sfugge nuovamente alle truppe imperiali che avevano circondato la sua casa uccidendo gli uomini lasciati a guardia da Garibaldi. Con il neonato in braccio, esce da una finestra ed a cavallo fugge nella foresta. E’ questo il momento leggendario immortalato dalla statua equestre sul Gianicolo. Rimane nascosta nella selva per quattro giorni, senza viveri e con il figlio al petto viene ritrovata dal compagno. Nel 1841, essendo divenuta caotica la situazione militare della rivoluzione brasiliana, Garibaldi e Anita si trasferiscono a Montevideo, vi rimarranno sette anni durante i quali l’uomo manterrà la famiglia impartendo lezioni di francese e di matematica. Nel 1842 i due si sposano. Stando alle sue “Memorie“, Garibaldi dovette dichiarare formalmente di avere notizia certa della morte del precedente marito di Anita. Negli anni successivi nascono i figli: Rosita (1843) morta a 2 anni, Teresita (1845) e Ricciotti (1847), quarto e ultimo figlio. Nel 1848, alla notizia delle prime rivoluzioni europee, Anita con i figli si imbarca per Nizza dove viene ospitata dalla suocera, il marito la raggiungerà qualche mese più tardi.  Il 9 febbraio 1849 presenzia a Roma alla proclamazione della Repubblica Romana. Gli eserciti francese e austriaco attaccano la città eterna per ripristinare il potere papale, ma i garibaldini danno vita ad una eroica resistenza, respingendo gli assalti quartiere per quartiere per molti giorni. La superiorità di uomini e mezzi a disposizione delle forze avversarie è comunque schiacciante e dopo l’ultimo scontro sostenuto nella zona del Gianicolo, Garibaldi e i suoi sono costretti alla fuga.

Dopo la resa di Roma  Garibaldi ed Anita assieme ai compagni, compiono un disperato viaggio verso Venezia che ancora resisteva agli Austriaci con la speranza di  trasferire l’insurrezione nell’Italia centrale ma, inseguiti da truppe francesi, pontificie ed austriache, nel luglio del 1849  ripiegarono verso la Repubblica di San Marino, poi infine nel ravennate. Anita è incinta di sei mesi, ha contratto la malaria perniciosa, viene portata presso la fattoria del patriota Guiccioli:

“Nel posare la mia donna in letto, mi sembrò di scoprire sul suo volto, la fisionomia della morte. Le presi il polzo…più non batteva! Avevo davanti a me la madre de’ miei figli, ch’io tanto amava! Cadavere!…” Giuseppe Garibaldi, Memorie, [Milano] : Kaos, 2006

Garibaldi è costretto a riprendere la fuga. Piegato dalla sconfitta e dai rimorsi si salverà e si trasferirà in Perù per poi acquistare metà dell’isola di Caprera e finirvi i suoi giorni.

Il cadavere di Anita, rinvenuto il 10 agosto del ’49 dalla polizia papalina, rivelò segni evidenti di strangolamento, come recita il rapporto del delegato della polizia di Ravenna, il conte Alberto Lovatelli, al legato pontificio:

“Fu osservato avere gli occhi sporgenti e metà della lingua sporgente tra i denti, nonché la trachea rotta e un segno circolare intorno al collo, segni non equivoci di sofferto strangolamento”. Secondo alcune ricostruzioni storiche Garibaldi avrebbe affidato la sua sepoltura ai fattori Ravaglia, che gli avevano dato rifugio. La malaria perniciosa nello stadio finale può provocare morte apparente: è possibile che Anita rinvenne poco prima della sepoltura e per paura i fattori la strangolarono temendo l’arrivo della polizia che inseguiva Garibaldi.

http://www.capannogaribaldi.ra.it/trafila/index_trafila.htm