Quando parlavamo coi morti

MarianaRicevo un’e mail dall’ufficio stampa di un piccolo editore che mi comunica l’uscita di un libro di un’autrice argentina. Ogni tanto capita anche a me, sebbene recensisca pochi libri. Diffido, per quanto l’e mail sembri molto corretta, non fa alcuna pressione o promessa. Do un’occhiata. Mariana Enriquez è una giornalista e scrittrice argentina quarantenne che collabora al supplemento Radar di Pagina 12. A fine maggio è uscita questa raccolta di tre racconti per le Edizioni Caravan in italiano. Pregiudizi a parte il titolo mi interessava, la trama mi incuriosiva. Ho iniziato a leggere e non ho smesso più. l’autrice incontra decisamente i miei gusti in campo letterario, la trama è precisa e comprensibile, i temi ed i punti di vista sono singolari ed avvincenti, lo stile asciutto non presenta niente altro che l’essenziale. Mi sono venuti in mente in sequenza libera gli aggettivi Weird, Fantastico, Punk, Horror; non esattamente: un po’ tutto questo ma con realismo, forse perché come dice lei El horror se ha vuelto más realista. Il primo racconto parla di un gruppo di ragazze adolescenti che si lasciano trasportare nell’ignoto attraverso una seduta spiritica e ne escono perplesse e segnate per il resto della vita, la seduta spiritica fa riemergere il mistero e l’orrore del recente passato nazionale. Intorno l’ambiente sociale di una Buenos Aires autentica, con i suoi contrasti e le differenze di classe registrate da un linguaggio giovanile smaccato ma mai stucchevole, con tutti i limiti che la traduzione impone. Nel secondo racconto donne dalle più disparate situazioni e condizioni creano un movimento segreto per darsi fuoco da sole: anche qui tante riflessioni hanno sfiorato la mia mente, dagli attentati suicidi, alle questioni di parità di genere fino al rapporto di dipendenza tra madre e figlia che può assumere risvolti morbosi. L’ultimo inizia in maniera molto convincente delineando l’universo mentale e ambientale di una donna che cambia mansioni e viene per caso assegnata all’Archivio dei bambini dispersi e scomparsi della città di Buenos Aires. Progressivamente il suo lavoro la incuriosisce e gli scomparsi diventano per lei un’ossessione, poi accade qualcosa di inaspettato…

Enriquez fa parte del gruppo di scrittori conosciuto come Nueva narrativa argentina. Pubblica con Planeta ad appena 19 anni Bajar es lo peor, poi dopo dieci anni Como desaparecer completamente (titolo che trovo geniale e che mi procurerò in qualche modo, pare che il tema della sparizione sia centrale per questa autrice…) ed infine nel 2011 Chicos que vuelven. Ora con questa piccola raccolta miracolosamente tradotta in italiano, che in prima battuta è uscita in Cile nel 2013, abbiamo la possibilità di accedere a delle storie intense, dense, brevi ma strutturate ad arte. Un barlume di speranza si accende in me, tra tanti necrologi di autori del boom pubblicati in giro da chiunque. Almeno nell’emisfero australe ogni tanto la letteratura sa ancora di autentico, di nuovo, di vita.

La tartaruga equestre

Testata_FrancescaMentre mi occupo del catalogo della biblioteca e della revisione della collezione mi capita spesso di imbattermi nei libri curati da Francesca Lazzarato. Una signora che da molti anni scrive e lavora nel campo editoriale: è stata editor per la Mondadori Ragazzi e collabora con la splendida casa editrice Orecchio Acerbo. Ha curato raccolte di fiabe popolari, ha scritto saggi sulla letteratura popolare e su quella per l’infanzia e scrive sulle pagine culturali di alcuni quotidiani occupandosi in modo particolare di letteratura latino americana e spagnola. E’ anche una attenta traduttrice dallo spagnolo e dal portoghese. Ora, dopo la collaborazione con le edizioni Sur, ha aperto un suo blog raccogliendo tutti gli articoli usciti negli ultimi anni  che parlano di letteratura spagnola e ispanoamericana. Il blog si chiama La tartaruga equestre e vale la pena darci una sbirciata.

Per una letteratura senza aggettivi

per_una_letteratura_senza_aggettivi_182Già in altri post è emersa la questione di cosa in un libro si considera “femminile” e per quale motivo la scrittura delle donne venga ancora messa in secondo piano nelle grandi Storie della Letteratura. Se ne potrebbe parlare per anni. Maria Teresa Andruetto se lo chiede a proposito di un’altra Cenerentola: la letteratura infantil o juvenil. Perché la letteratura “per bambini” o “per ragazzi” è considerata un genere secondario? Così nel suo libro edito dalla casa editrice Equilibri ci pone alcune questioni sul canone, un approccio che già trovo squisitamente argentino e mi incuriosisce:

Come ha detto Lotman la relazione fra il canonizzato ed il non canonizzato è sempre dialettica. Questo movimento vorticoso fa si che coloro che si trovano ai margini tendano ad occupare il centro lottando per far valere i propri modelli…

Andruetto ritiene il canone, fra le altre cose, come una lettura del presente tramite il passato, una scelta attraverso cui coscientemente o incoscientemente si pretende di scegliere cosa salvare dall’oblio, cosa insegnare alle future generazioni, per questo motivo lo ritiene un argomento particolarmente importante e delicato nel contesto della letteratura destinata ai ragazzi. Ma il rischio è che ciò che viene canonizzato si fissi e si irrigidisca e che nel mercato editoriale moderno venga sottoposto a innumerevoli copie e varianti sul tema per meri scopi di mercato. Il canone è anche uno strumento di controllo sociale: ciò che è giusto leggere. In questo senso l’autrice interpreta anche alcune classifiche dei “libri più venduti“, un canone effimero costruito dal marketing. Così se nell’attualità i punti di riferimento che abbiamo per la scelta di una lettura sono a tal punto sfilacciati, per venirne a capo non possiamo che tornare un passo indietro e porci la fatidica domanda: a cosa serve la finzione? A quanto pare la usiamo per cercare di comprenderci:

Un racconto è un viaggio che ci conduce in territori altrui, quindi è un modo per espandere i limiti della nostra esperienza, accedendo a un frammento di mondo che non è il nostro. […] Riflette una necessità molto umana, quella di non accontentarci di vivere una sola vita.

Il pericolo che corre la letteratura per ragazzi secondo l’autrice è proprio quello di essere definita a priori come destinata a bambini e ragazzi, e quindi di restare irretita dal solo scopo pedagogico o dall’urgenza di un tema o un problema specifico. Rischia di non parlarci più di umanità, di complessità e contraddizioni dell’essere mettendo in primo piano solo ragioni morali, politiche o di mercato:

I libri letterari, proprio per ciò che in sé hanno di letterario, viaggiano più lentamente. […] Questo succede perché la letteratura per la sua complessità, per la sua ambiguità e soprattutto per la sua particolarità, è un albero difficile da trapiantare. […] Se pensassimo sempre e solamente in termini di rapidità e di vendite non avremmo mai potuto sostenere una scrittura come quella di Borges, ad esempio. 

Un saggio stimolante, scorrevole, elegante. Uno di quei libri che nelle più disparate occasioni tornano in mente. Vale la pena conservarlo per poterlo rileggere al bisogno.

Maria Teresa Andruetto

Per una letteratura senza aggettivi

Equilibri, 2014