Sciopero ai tempi dell’amore

In un San Valentino interstiziale, pericolosamente vicino al vuoto di un abisso profetico, postrivoluzionario e post-postmoderno, incurante di residuali cioccolatini a cuoricino, rose rosse e prenotazioni impossibili di tavoli per due al ristorante a lume di candela, ritorno con la mente a questa poesia di Gioconda Belli, artista nicaraguense ed ex guerrigliera sandinista. A proposito: abbondano ex guerrigliere nella sfera pubblica latinoamericana. Quante guerriglie ci sono volute in questo Continente per arrivare all’oggi? Di quale specie? Quante ancora se ne stanno combattendo silenziose alla coscienza dei media d’Occidente? Cosa potremmo apprenderne?

  Huelga

Quiero una huelga donde vayamos todos.
Una huelga de brazos, piernas, de cabellos,
una huelga naciendo en cada cuerpo.
Quiero una huelga de obreros
de palomas de choferes de flores
de técnicos de niños
de médicos de mujeres.
Quiero una huelga grande,
que hasta el amor alcance.
Una huelga donde todo se detenga,
el reloj las fábricas el plantel
los colegios el bus los hospitales
la carretera los puertos.
Una huelga de ojos, de manos y de besos.
Una huelga donde respirar no sea permitido,
una huelga donde nazca el silencio
para oír los pasos del tirano que se marcha.

Trovata l’isola che non c’è

Capitò che, mentre la mia compagna di viaggio si ritemprava per le vie di Santiago, io decisi di prendere un pullman in solitaria e percorrere i cento chilometri che mi separavano dall’Isola che non c’è: Isla Negra. In questa piccola area costiera del comune di El Quisco sorge la terza casa museo di Neruda, quella in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita. Nel 1939, quando Neruda era ancora sposato con Delia Del Carril, stava cercando uno spazio in cui concentrarsi per scrivere Canto general. Rispose ad un annuncio su un quotidiano e trovò una piccola casa con un terreno di più di 5000 metri quadrati che sorgeva in una caletta di pescatori quasi deserta, la vista sul mare era spettacolare. Con gli anni la casa crebbe: dai 70 mq iniziali oggi la ritroviamo a più di 500; la sua idea del costruire più che ad un progetto era legata ad immagini nate dall’idea di approfittare di una luce o di una vista particolare, come di possedere oggetti, porte o finestre, che necessitano il supporto di una stanza. Ad esempio l’enorme cavallo di legno tanto anelato per il quale venne costruita una stanza apposita. Ciò rivela la grande differenza nella concezione dello spazio americano rispetto al mondo europeo, lo spazio c’è e si può manipolare ed inventare a piacimento secondo i propri gusti o esigenze: la casa non si modifica al suo interno, ma si allarga e si estende mano a mano che crescono le esigenze. Oggi sul sito sono comparse diverse villette ed oltre gli scogli del promontorio si scorgono silhouette di alti condomini. La casa non si distingue facilmente dalle altre che affacciano sul mare, per trovarla occorre domandarne l’ubicazione, non ci sono indicazioni stradali che ne segnalino la presenza: i cileni non ne hanno bisogno, tutti sanno dov’è.

L’interno è organizzato linearmente e suddiviso in compartimenti a cui si accede passando da una stanza all’altra. Gli spazi sono raccolti ed intimi. Anche qui si ritrovano frammenti raccolti nel corso dell’intera esistenza dell’artista e manufatti inusuali. La casa è costruita con materiali semplici, legno e pietra, separati da grandi finestre rettangolari che si affacciano sul Pacifico. L’acustica della camera da letto, vicina alla biblioteca, è studiata per lasciarsi cullare dal mormorio della risacca delle onde del Pacifico che s’infrangono contro le rocce più in basso. Lo studio amplifica il rumore delle  gocce di pioggia che il tetto della casa raccoglie. E’ uno spazio allo stesso tempo affascinante, semplice ed armonico: sopra i tavoli poggiano vetrerie, piatti, calici, bizzarri orci, velieri in bottiglia di ogni forma e dimensione, e poi un’enorme cannocchiale newtoniano, un autentico mappamondo del ‘700, un camino rivestito di lapislazzuli, il bagno erotico con le pareti che ospitano miniature licenziose, una sterminata collezione di conchiglie provenienti da  tutti i mari tra cui spicca un’enorme tridacna del Pacifico, simile ad un’acquasantiera, accanto ad un dente di narvalo lungo tre metri. Nello studio, tra un patrimonio di migliaia di volumi donati all’Università di Santiago, spiccano le fotografie incorniciate di Boudelaire, Majakovsky e Garcia Lorca. E poi la stanza a mio avviso più suggestiva: nel soggiorno volteggiano sospese al soffitto o appese alle pareti numerose polene di navi, di cui una appartenuta alla nave di Francis Drake. Le altre, pare, assomigliano alle fattezze delle amanti del poeta. Una lapide di marmo nero, posta nel giardino di fronte all’oceano, segnala le spoglie di Matilde Urrutia e Pablo Neruda.

L’impressione è di visitare una casa semplice e sofisticata al tempo stesso, unica. Tutti gli oggetti sono esposti in modo da creare un mondo all’interno della casa: mondo d’artista, teatrale e scenografico ed al contempo concreto ed intimo in un complesso gioco di rimandi fra interiorità ed esteriorità.

Né troppo sopra né troppo sotto

La seconda casa museo che ho visitato è la Sebastiana, la casa di Valparaíso di Pablo Neruda. Aperta al pubblico nel 1992, fu restaurata così come l’aveva voluta il poeta, che l’aveva inaugurata assieme alla moglie Matilde nel lontano 1961. Una casa stretta, su quattro livelli, piena di angolini squisiti e oggetti di ogni sorta: quadri, mappe, vetri, oblò, lucernari, orologi contenuti fra pareti dipinte di azzurro, giallo, rosa, verde e grandi finestroni che affacciano al porto di Valparaíso. A mano a mano che si sale per le scalette, la vista del mare acquista “possanza” e diventa elemento imprescindibile della casa stessa. Ma tutto ciò non si può capire pienamente senza conoscere la città: un accumulo di case, spesso di lamiera, arroccato su un monte scosceso a picco fino al mare: un po’ partenopea ed un po’ lusitana. Il rumore dell’infinito di fronte, la sensazione di toccare l’estremo oriente, le voci ed i rumori che rimbombano sull’immenso oceano, antichi ascensori di legno che si inerpicano e discendono a fatica da vistose pendenze, rigattieri d’altri tempi e tanto altro che non so spiegare e che non ho visto. Forse per questa unicità il poeta scrive ad una sua amica: “Sento la stanchezza di Santiago. Voglio trovare a Valparaíso una casetta per vivere e scrivere tranquillo. Deve avere alcune condizioni. Non può stare né troppo sopra né troppo sotto. Deve essere solitaria ma non eccessivamente. Vicini, possibilmente invisibili. Non si devono né vedere né sentire. Originale ma non scomoda. Molto alata ma ferma. Né troppo grande né troppo piccola. Lontano da tutto ma vicino al movimento. Indipendente ma vicina ai negozi. Inoltre deve essere molto economica. Credi che potrò trovare una casa così a Valparaíso?” Incredibile: la trovò.

Il bello della Scapigliata

In generale sono affascinata dalle case museo, mi dicono molto di più di una semplice casa o di un semplice museo: la summa di due concetti che ne creano un terzo forte ed autonomo. E poi per alcuni personaggi dalla personalità complessa e dalla vita lunga sembrano l’unica possibilità di mantenere tutte le sfaccettaure di biografie tanto intense senza lasciarle scomparire nel susseguirsi delle generazioni. E’ il caso delle tre abitazioni possedute da Neruda in Cile, La Chascona a Santiago, La Sebastiana a Valparaiso, e la Casa de Isla Negra, che sono oggi musei, gestiti dalla Fundación Pablo Neruda.

Oggi vi parlo della Chascona, la casa dove Neruda visse con Matilde Urrutia al ritorno dall’esilio di Capri nel 1952. Inizialmente questa relazione tra i due si mantiene segreta, poiché il poeta era già sposato, effettivamente la posizione alle falde del cerro San Cristobal, nel quartiere bohemien di Bellavista, fa pensare ad una mirata ricerca di un posto tranquillo e appartato. Chascona è una parola che deriva dal quechua e significa scapigliata, soprannome di Matilde. Nel 1955 Neruda si separa dalla moglie Delia del Carril e si trasferisce dalla casa di Michoacan alla Chascona, in quell’anno iniziano i lavori di ampliamento che si concludono nel 1958, anno a partire dal quale la casa si è mantenuta così come oggi: pendenze, terrazze e scale che congiungono tre grandi blocchi separati, il tutto amalgamato da una folta vegetazione. Alla morte di Neruda la casa venne inondata con l’acqua di un canale che scorre nel giardino da parte delle forze militari, in ricordo di questo fatto è stato costruito il “velatorio”, proprio da qui iniziò il corteo verso il cimitero, il primo atto pubblico di ripudio del Golpe di Pinochet.

Il percorso di visita della casa inizia dal bar attiguo alla sala da pranzo: dipinti, vecchie botti, bottiglie di ogni forma e colore; il bar appartenenva ad un antico barcone francese, dalla sala da pranzo, in cui ho avuto l’onore di consumare un pranzo durante una celebrazione della Fondazione, si accede ad una porticina con una stretta scala di conchiglie che porta ad una stanza da letto. In uno spazio separato c’è il salone in cui si trova il famoso quadro che Diego Rivera aveva dipinto per Matilde in cui, nascosto tra i capelli, si scorge il profilo di Neruda. In un altro bar sono raccolte figure pittoresche, scarpe giganti ed altre collezioni di oggetti, infine si arriva alla biblioteca ed allo studio, dove sono raccolti i premi ricevuti da Neruda, compreso il Nobel.

La casa trasmette un profondo attaccamento ai particolari più umili e quotidiani della vita, ed un gusto postmoderno per l’accumulazione di oggetti variopinti e curiosi di ogni genere e foggia.
E’ una importante testimonianza di ciò che il personaggio Neruda è divenuto nell’immaginario mondiale: un artista che ha elevato all’attenzione di tutti ciò che corrisponde al popolare ed all’umile, esattamente come  rivela la sua opera poetica, tutta incentrata nella scoperta e l’esaltazione dei segreti della semplicità.