La scoperta di Azul

articles-8301_thumbnailRinvenuto a Managua un esemplare originale di Azul, la raccolta di poesie edita nel 1888, capolavoro di Rubén Darío. Si tratta di un autentico tesoro poiché l’esemplare fa parte delle prime 500 copie edite a Valparaíso (Cile). La seconda edizione di Azul, infatti, realizzata direttamente da Darío in Nicaragua contiene numerose modifiche rispetto alla prima, come ad esempio l’inserimento di poemi in francese.

L’opera fu scoperta all’interno di una piccola biblioteca di famiglia da un erede che stava analizzandone documenti, libri e riviste antiche in quanto appartenenti al bisnonno. Nessun’altro prima in famiglia si era reso conto di possedere una prima edizione tanto preziosa.

Azul raccoglie poemi e racconti scritti da Darío in Cile fra il 1886 ed il 1889. L’ex ministro dell’Educazione, Carlos Tünnermann, ha detto che il ritrovamento è molto importante in quanto in Nicaragua dell’edizione originale sono conservati solo pochi esemplari.  Azul è il punto di partenza del modernismo ispanoamericano. L’originalità dell’opera consiste nell’innervare i componimenti di elementi estetici e stilistici derivanti da altre culture, in particolare quella francese. Una ricchezza di vocaboli ed immagini che Darío riesce ad amalgamare con perizia creando uno stile proprio, eccentrico e riconoscibile. Il modernismo sarà il primo movimento letterario latinoamericano originale che influenzerà direttamente la ex madrepatria Spagna.

Chi è Stato?

Pochi giorni fa la Casetta Rossa della Garbatella a Roma ha ospitato una singolare presentazione del libro di Emilio Barbarani dal titolo Chi ha ucciso Lumi Videla? Con la partecipazione, intensa e cordiale di Erri De Luca. E’ stato un incontro denso, doloroso e piacevole allo stesso tempo, in cui abbiamo potuto riflettere con una giusta distanza e con maggiore lucidità sugli anni in cui il mondo era diviso in due, ma, oltre ad essere diviso fra est ed ovest era anche in gioco fra testa e croce, capitalismo e socialismo reale, piatto come una moneta. In questo quadro qualsiasi angolo remoto poteva diventare strategico… così si è espresso Erri De Luca per introdurre il tema del libro, un fatto meno noto di quello di Enrico Calamai presso l’Ambasciata italiana di Buenos Aires, ma altrettanto importante.

Il luogo in cui si svolgono i fatti di questa autobiografia scritta come un romanzo è l’Ambasciata italiana di Santiago del Cile. Un giovane Barbarani, funzionario del Consolato generale d’Italia a Buenos Aires, viene trasferito d’urgenza all’Ambasciata a Santiago del Cile in cui risiede un unico Diplomatico: l’ambasciatore Tomaso de Vergottini, non accreditato, assistito dal personale dipendente, la cui metà non parla e non collabora con l’altra metà per motivi politici: “pinochetisti” contro “antipinochetisti”. Com’è noto, in quel momento per cercare di salvarsi la vita migliaia di persone affollano le ambasciate estere. Poi, progressivamente i golpisti consolidano il loro potere e le ambasciate cominciano a non accoglierli, tutte tranne quella italiana. L’Italia non ha mai riconosciuto il governo capeggiato da Augusto Pinochet, quindi i diplomatici non potevano essere accreditati, l’ambasciata risulta addirittura chiusa, nonostante ciò fino al 1975 continuerà ad accogliere i richiedenti asilo.

Nella notte tra il 4 e il 5 novembre 1974, il corpo di una donna di 24 anni viene scaricato nel giardino della villa di Miguel Claro, in cui sono già rifugiate centinaia di persone in fuga dal regime. Sono trascorsi circa 14 mesi dal Golpe militare di Pinochet. La donna viene riconosciuta: è il corpo senza vita di Lumi Videla, dirigente del Mir. Pochi giorni dopo i giornali come El Mercurio si affrettano ad aderire alla versione ufficiale che dell’accaduto danno i militari: durante un’orgia a cui partecipavano i richiedenti asilo all’interno dell’Ambasciata, Lumi è stata portata alla morte. Una tesi sfatata subito dall’assenza della stessa dalle liste dei richiedenti asilo.

In un clima inquietante fatto di spie, armi, amori e delatori continua il racconto di Barbarani, che curiosamente non ha avuto grande eco in Cile, qualcuno dice perché un tal colonnello “K” non ha mai ricevuto condanne e vive indisturbato a Santiago. Tuttora. Come nulla fosse…

A Cannes si dice NO

Inaspettato successo del film No del chileno Pablo Larrain, quello di Tony Manero e Postmortem. Tutti dicono che è stato uno dei capolavori del festival di Cannes di quest’anno, forse il migliore però ha vinto solo (si fa per dire) la sezione Quinzaine des Réalisateurs, che assicura un’ottima distribuzione al film. Gael Garcìa Bernal interpreta un pubblicitario che con una campagna mirata e ben confezionata riesce a rovesciare il regime di Pinochet in occasione del referendum del 1988, in cui alla fine il dittatore perse la possibilità di  restare in carica fino al 1997.

La sceneggiatura è firmata da Pedro Peirano ed il film è interamente girato con videocamere Ikegami del 1983 per rendere l’estetica delle immagini originali di quegli anni. Il regista intervistato sul successo riscosso dal film dichiara che
probabilmente è anche merito della particolare fase politica che buona parte del mondo  sta attraversando: magari non contro una dittatura, ma le proteste spagnole, arabe, chilene sono comunque una forma collettiva di associazione ed espressione per produrre cambiamenti  rilevanti nella società.
Il festival ha ospitato diversi film latinoamericani: l’uruguaiano Pablo Stoll con la commedia  familiare “3”, la messicana Yulene Olaizola con “Fogo” e il colombiano William Vega con “La sirga”,  sulle vittime di violenza nelle zone rurali in Colombia. Poi “Infancia clandestina” dell’argentino  Benjamín Avila, e “La noche de enfrente” del regista franco-chileno Raúl Ruiz, morto nel 2011.

Gli ARCHIVI DEL CARDINALE

In questi giorni sul canale TVN,  Televisión Nacional de Chile, una serie televisiva sta scuotendo le coscienze dell’opinione pubblica. Si tratta de Los archivos del Cardenal, basata sul lavoro di difesa dei diritti umani realizzato dalla Vicaría de la Solidaridad durante il Régime Militare chileno (1973-1990). Il Cardinale in questione è l’ex Arcivescovo di Santiago, l’ormai deceduto Raúl Silva Henríquez, che celebrò un famoso Te Deum in onore di Pinochet qualche giorno dopo il golpe dell’11 settembre ’73, in forte contrasto con la Unidad popular di Salvador Allende, ma poi si convertì in un autentico nemico della dittatura in difesa dei diritti umani. La serie, interpretata da attori cileni molto famosi, si basa su fatti accaduti fra il ’73 ed il ’90. Il soggetto originale è di Josefina Fernández, figlia di un avvocato esterno della Vicaria de solidaridad che, leggendo il libro di testimonianze Chile, la memoria proibida scritto da Eugenio Ahumada, Augusto Góngora e Rodrigo Atria e pubblicato ancor prima del Informe Rettig, si rese conto che le testimonianze potevano efficacemente convertirsi in episodi di una serie. In effetti fin dal primo episodio ha registrato un enorme successo di pubblico e innescato diverse polemiche da parte della destra.

La serie racconta la storia dell’avvocato Ramón Sarmiento e dell’assistente sociale Laura Pedregal, che lavorano alla Vicaría de la Solidaridad, organismo fondato dallo stesso Cardinale che aveva come missione la difesa dei diritti umani. Gli assistenti sociali avevano il compito di ricevere i perseguitati politici ed i loro familiari, in special modo quelli dei desaparecidos. In seguito gli avvocati dovevano intraprendere azioni legali attraverso i recursos de amparo, Istituti di protezione dei diritti fondamentali tipici degli ordinamenti dell’America Latina che affidano alla Corte Suprema la tutela in ultima istanza dei diritti pubblici costituzionalmente garantiti su ricorso di qualunque persona fisica o giuridica che invochi un legittimo interesse, al fine di proteggere le vittime.

La prima puntata parte con Ramón Sarmiento, avvocato e membro di una familia altolocata che, indagando sull’apparizione di resti umani in una fattoria vicina alla sua proprietà, conosce  Laura Pedregal che lavora alla Vicaría insieme a suo padre. Quando cercano di mettersi in contatto con Sarmiento Laura ed il suo fidanzato vengono arrestati dagli agenti della CNI ma riescono a fuggire. Sarmiento intanto riesce a rintracciare la fotografia di un suo amico d’infanzia e, grazie ad essa, scopre con orrore che si tratta di uno dei cadaveri della fossa. La sua morte è stata occultata da un amico comune divenuto carabiniere, a questo punto l’avvocato inizia a prendere coscienza di ciò che sta accadendo nel paese. 

Nella seconda puntata il professor Rafael Rios viene arrestato da agenti della CNI e torturato crudelmente, Sarmiento informa la Vicaria e si reca con Laura Pedregal a casa del professore. La casa è completamente nel caos e vi si trova un’amica del professore, incinta, che viene prontamente portata al sicuro dai due al fine di evitarne l’arresto. Sarmiento ed il padre di Laura corrono in tribunale a presentare un recurso de amparo per il professore.

Vari esponenti del partito Renovación Nacional hanno espresso il loro malcontento nei confronti di TVN durante le sessioni parlamentari intercorse in questi giorni a La Moneda, a questi ha risposto il deputato PPD, Tucapel Jiménez Fuentes, figlio di un sindacalista ucciso dagli agenti di Pinochet:

Un paese senza memoria non ha futuro, oggi alzano la voce coloro che rimasero in silenzio quando nel nostro paese si commettevano i crimini più atroci, giustificando in qualsiasi modo le violazioni dei diritti umani che venivano commesse quando loro stessi facevano parte della dittatura…

 

http://www.vicariadelasolidaridad.cl/

SUL CADAVERE DEGLI EROI

La vulgata vuole che Salvador Allende, dopo uno splendido e tragico discorso alla radio, si suicidò con un  AK-47 regalatogli da Fidel Castro mentre gli aerei americani bombardavano La Moneda. Alcune organizzazioni di sinistra affermano di avere fondati sospetti riguardo al fatto che invece furono gli scagnozzi di Pinochet ad assassinarlo. Dopo una serie di 726 querele il caso si è riaperto ed il cadavere, avvolto nella bandiera cilena, due giorni fa è stato riesumato in gran segreto e sarà analizzata da una commissione interdisciplinare ed internazionale di esperti. Ernesto Guevara, Simon Bolivar, Salvador Allende…c’è sempre maggior bisogno di leggere i messaggi che lasciano i corpi senza vita per comprovare la verità storica affossata dalla paura, dalle false notizie e dall’indifferenza in questa fetta di mondo.

Beati voi

Durante il periodo del Plan Condor vi fu un motivo di attrito tra Argentina e Cile dovuto al possesso di tre isole nel Canale di Beagle: nel 1977 l’Argentina rifiutò l’arbitrio del Regno Unito che le aveva assegnate al Cile. Alla fine del 1978 i due paesi  furono sul punto di aprire un conflitto armato evitato grazie all’intervento di Papa Giovanni Paolo II, che iniziò un processo di mediazione e nominò come suo rappresentante il cardinale Antonio Samoré. Il Papa visitò poi il Cile nell’aprile 1987, l’allora nunzio apostolico nel Paese Angelo Sodano promosse con forza quell’incontro. Il Papa si affacciò al balcone della Moneda con il generale e impartì una benedizione ai funzionari del governo. Il 18 febbraio del 1993 furono recapitate al criminale Pinochet due lettere di auguri da parte del papa Wojtyła e del Segretario di Stato Angelo Sodano in occasione della ricorrenza delle sue nozze d’oro.

Fenomeno Bolaño

Da un po’ di anni le opere dello scrittore cileno Roberto Bolaño, morto nel 2003, stanno riscuotendo grande successo, con conseguente diffusione capillare e traduzione in varie lingue. Da dove viene fuori Bolaño? Padre camionista, madre maestra elementare in un piccolo paese del sud del Cile, quando ha tredici anni la famiglia si trasferisce in Messico. Nel 1973 lui solo decide di tornare in Cile, per vivere il processo di riforme socialiste del governo Allende. Alla fine di un lungo viaggio in pullman, autostop e barca attraverso l’America Latina, arriva nel paese pochi giorni dopo il colpo di stato di Pinochet. In seguito a questo fatto decide di unirsi alla resistenza ma viene incarcerato a Concepción, riesce a farsi liberare dopo soli otto giorni grazie all’aiuto di un compagno di studi, che era tra i poliziotti incaricati di vigilarlo. Questo episodio diventa lo spunto per il racconto Detectives incluso nella raccolta Llamadas telefónicas. La visione memoriale degli anni messicani e la tappa del ritorno in Cile servirono a Bolaño per costruire il suo stesso mito. Al ritorno in Messico insieme all’amico poeta Mario Santiago Papasquiaro ( l’Ulises Lima dei Detectives Salvajes) fondò il movimento poetico d’avanguardia infrarealista, definito come Dada alla messicana, che si era prefisso lo scopo di rompere la tradizione della letteratura ufficiale e di stabilirsi come avanguardia in contrasto con l’establishment letterario rappresentato su tutti da Octavio Paz. Come la maggior parte dei cileni nati dopo Neruda, Bolaño era un idolatra della poesia, le sue poesie giovanili fin dall’inizio avevano la tendenza a diventare delle storie. La tensione interiore, che si scorge fin dalla sua esperienza poetica, viene dall’autore brillantemente rovesciata con la trasformazione delle sue storie in messe in scena della ricerca poetica. Secondo lo scrittore Alain Pauls la vera pulsione che anima la letteratura di Bolaño è il fanatismo in senso preavanguardista: una letteratura piena di poeti, di scrittori, di artisti che però in pratica non producono nulla, ad esempio non si sa mai che cosa scrivano Belano e Lima nei Detective selvaggi. Quel che Bolaño fa è riappropriarsi molto intelligentemente della  tradizione dell’avanguardia. Da questa tradizione riprende più che altro un repertorio di forme di esistenza, di modi di vita che poi, in realtà, è quel che gli è sempre interessato… Dall’altra parte nelle sue opere emerge una propensione un po’ “teppistica”, in un momento in cui la letteratura latinoamericana tendeva ad isolarsi in una specie di comodità pantofolaia. In questo senso contribuì a restituire alla letteratura latinoamericana una certa aggressività di cui si sentiva la mancanza. Una letteratura, infine, che non esclude nessuno, neppure i suoi nemici. Anzi, caratterizzata dalla tendenza ad annettersi tutto.

Bolaño era un polemico, un outsider, un personaggio che, anche grazie alla morte prematura, si sta progressivamente trasformando in mito pop, alla stregua di Corzar. Le sue opere letterarie, che ora appartengono alla vedova Carolina López, vengono gestite dal famoso e temuto agente letterario Andrew Wylie, che sta inventariando l‘archivio dello scrittore ed ha in serbo altre due o tre pubblicazioni postume. A dire il vero la coppia era in pratica separata e lo scrittore aveva una relazione con la catalana Carmen Pérez de Vega, ma tant’è. Se Los detectives salvajes hanno cambiato il paradigma dello scrittore latinoamericano, secondo  Echevarría, 2666, la novela del mal, ha provocato una vera deflagrazione nella società dei lettori statunitensi. L’attrazione di Bolaño per la relazione tra crimine e arte ed il suo interesse per l’investigazione lo rendono estremamente attraente a questo vasto e poderoso pubblico e di riflesso anche a quello europeo. Per finire: mi ha colpito molto una frase pronunciata in un’intervista. Alla domanda dell’intervistatore “come nacque la tal opera?” Bolaño risponde con una sincerità ed una poesia disarmante: Como nacen todas las obras literarias: por casualidad y por desesperación.

Trovata l’isola che non c’è

Capitò che, mentre la mia compagna di viaggio si ritemprava per le vie di Santiago, io decisi di prendere un pullman in solitaria e percorrere i cento chilometri che mi separavano dall’Isola che non c’è: Isla Negra. In questa piccola area costiera del comune di El Quisco sorge la terza casa museo di Neruda, quella in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita. Nel 1939, quando Neruda era ancora sposato con Delia Del Carril, stava cercando uno spazio in cui concentrarsi per scrivere Canto general. Rispose ad un annuncio su un quotidiano e trovò una piccola casa con un terreno di più di 5000 metri quadrati che sorgeva in una caletta di pescatori quasi deserta, la vista sul mare era spettacolare. Con gli anni la casa crebbe: dai 70 mq iniziali oggi la ritroviamo a più di 500; la sua idea del costruire più che ad un progetto era legata ad immagini nate dall’idea di approfittare di una luce o di una vista particolare, come di possedere oggetti, porte o finestre, che necessitano il supporto di una stanza. Ad esempio l’enorme cavallo di legno tanto anelato per il quale venne costruita una stanza apposita. Ciò rivela la grande differenza nella concezione dello spazio americano rispetto al mondo europeo, lo spazio c’è e si può manipolare ed inventare a piacimento secondo i propri gusti o esigenze: la casa non si modifica al suo interno, ma si allarga e si estende mano a mano che crescono le esigenze. Oggi sul sito sono comparse diverse villette ed oltre gli scogli del promontorio si scorgono silhouette di alti condomini. La casa non si distingue facilmente dalle altre che affacciano sul mare, per trovarla occorre domandarne l’ubicazione, non ci sono indicazioni stradali che ne segnalino la presenza: i cileni non ne hanno bisogno, tutti sanno dov’è.

L’interno è organizzato linearmente e suddiviso in compartimenti a cui si accede passando da una stanza all’altra. Gli spazi sono raccolti ed intimi. Anche qui si ritrovano frammenti raccolti nel corso dell’intera esistenza dell’artista e manufatti inusuali. La casa è costruita con materiali semplici, legno e pietra, separati da grandi finestre rettangolari che si affacciano sul Pacifico. L’acustica della camera da letto, vicina alla biblioteca, è studiata per lasciarsi cullare dal mormorio della risacca delle onde del Pacifico che s’infrangono contro le rocce più in basso. Lo studio amplifica il rumore delle  gocce di pioggia che il tetto della casa raccoglie. E’ uno spazio allo stesso tempo affascinante, semplice ed armonico: sopra i tavoli poggiano vetrerie, piatti, calici, bizzarri orci, velieri in bottiglia di ogni forma e dimensione, e poi un’enorme cannocchiale newtoniano, un autentico mappamondo del ‘700, un camino rivestito di lapislazzuli, il bagno erotico con le pareti che ospitano miniature licenziose, una sterminata collezione di conchiglie provenienti da  tutti i mari tra cui spicca un’enorme tridacna del Pacifico, simile ad un’acquasantiera, accanto ad un dente di narvalo lungo tre metri. Nello studio, tra un patrimonio di migliaia di volumi donati all’Università di Santiago, spiccano le fotografie incorniciate di Boudelaire, Majakovsky e Garcia Lorca. E poi la stanza a mio avviso più suggestiva: nel soggiorno volteggiano sospese al soffitto o appese alle pareti numerose polene di navi, di cui una appartenuta alla nave di Francis Drake. Le altre, pare, assomigliano alle fattezze delle amanti del poeta. Una lapide di marmo nero, posta nel giardino di fronte all’oceano, segnala le spoglie di Matilde Urrutia e Pablo Neruda.

L’impressione è di visitare una casa semplice e sofisticata al tempo stesso, unica. Tutti gli oggetti sono esposti in modo da creare un mondo all’interno della casa: mondo d’artista, teatrale e scenografico ed al contempo concreto ed intimo in un complesso gioco di rimandi fra interiorità ed esteriorità.

Né troppo sopra né troppo sotto

La seconda casa museo che ho visitato è la Sebastiana, la casa di Valparaíso di Pablo Neruda. Aperta al pubblico nel 1992, fu restaurata così come l’aveva voluta il poeta, che l’aveva inaugurata assieme alla moglie Matilde nel lontano 1961. Una casa stretta, su quattro livelli, piena di angolini squisiti e oggetti di ogni sorta: quadri, mappe, vetri, oblò, lucernari, orologi contenuti fra pareti dipinte di azzurro, giallo, rosa, verde e grandi finestroni che affacciano al porto di Valparaíso. A mano a mano che si sale per le scalette, la vista del mare acquista “possanza” e diventa elemento imprescindibile della casa stessa. Ma tutto ciò non si può capire pienamente senza conoscere la città: un accumulo di case, spesso di lamiera, arroccato su un monte scosceso a picco fino al mare: un po’ partenopea ed un po’ lusitana. Il rumore dell’infinito di fronte, la sensazione di toccare l’estremo oriente, le voci ed i rumori che rimbombano sull’immenso oceano, antichi ascensori di legno che si inerpicano e discendono a fatica da vistose pendenze, rigattieri d’altri tempi e tanto altro che non so spiegare e che non ho visto. Forse per questa unicità il poeta scrive ad una sua amica: “Sento la stanchezza di Santiago. Voglio trovare a Valparaíso una casetta per vivere e scrivere tranquillo. Deve avere alcune condizioni. Non può stare né troppo sopra né troppo sotto. Deve essere solitaria ma non eccessivamente. Vicini, possibilmente invisibili. Non si devono né vedere né sentire. Originale ma non scomoda. Molto alata ma ferma. Né troppo grande né troppo piccola. Lontano da tutto ma vicino al movimento. Indipendente ma vicina ai negozi. Inoltre deve essere molto economica. Credi che potrò trovare una casa così a Valparaíso?” Incredibile: la trovò.

Il bello della Scapigliata

In generale sono affascinata dalle case museo, mi dicono molto di più di una semplice casa o di un semplice museo: la summa di due concetti che ne creano un terzo forte ed autonomo. E poi per alcuni personaggi dalla personalità complessa e dalla vita lunga sembrano l’unica possibilità di mantenere tutte le sfaccettaure di biografie tanto intense senza lasciarle scomparire nel susseguirsi delle generazioni. E’ il caso delle tre abitazioni possedute da Neruda in Cile, La Chascona a Santiago, La Sebastiana a Valparaiso, e la Casa de Isla Negra, che sono oggi musei, gestiti dalla Fundación Pablo Neruda.

Oggi vi parlo della Chascona, la casa dove Neruda visse con Matilde Urrutia al ritorno dall’esilio di Capri nel 1952. Inizialmente questa relazione tra i due si mantiene segreta, poiché il poeta era già sposato, effettivamente la posizione alle falde del cerro San Cristobal, nel quartiere bohemien di Bellavista, fa pensare ad una mirata ricerca di un posto tranquillo e appartato. Chascona è una parola che deriva dal quechua e significa scapigliata, soprannome di Matilde. Nel 1955 Neruda si separa dalla moglie Delia del Carril e si trasferisce dalla casa di Michoacan alla Chascona, in quell’anno iniziano i lavori di ampliamento che si concludono nel 1958, anno a partire dal quale la casa si è mantenuta così come oggi: pendenze, terrazze e scale che congiungono tre grandi blocchi separati, il tutto amalgamato da una folta vegetazione. Alla morte di Neruda la casa venne inondata con l’acqua di un canale che scorre nel giardino da parte delle forze militari, in ricordo di questo fatto è stato costruito il “velatorio”, proprio da qui iniziò il corteo verso il cimitero, il primo atto pubblico di ripudio del Golpe di Pinochet.

Il percorso di visita della casa inizia dal bar attiguo alla sala da pranzo: dipinti, vecchie botti, bottiglie di ogni forma e colore; il bar appartenenva ad un antico barcone francese, dalla sala da pranzo, in cui ho avuto l’onore di consumare un pranzo durante una celebrazione della Fondazione, si accede ad una porticina con una stretta scala di conchiglie che porta ad una stanza da letto. In uno spazio separato c’è il salone in cui si trova il famoso quadro che Diego Rivera aveva dipinto per Matilde in cui, nascosto tra i capelli, si scorge il profilo di Neruda. In un altro bar sono raccolte figure pittoresche, scarpe giganti ed altre collezioni di oggetti, infine si arriva alla biblioteca ed allo studio, dove sono raccolti i premi ricevuti da Neruda, compreso il Nobel.

La casa trasmette un profondo attaccamento ai particolari più umili e quotidiani della vita, ed un gusto postmoderno per l’accumulazione di oggetti variopinti e curiosi di ogni genere e foggia.
E’ una importante testimonianza di ciò che il personaggio Neruda è divenuto nell’immaginario mondiale: un artista che ha elevato all’attenzione di tutti ciò che corrisponde al popolare ed all’umile, esattamente come  rivela la sua opera poetica, tutta incentrata nella scoperta e l’esaltazione dei segreti della semplicità.

Lodo Jodo

Alejandro Jodorowsky è un poliedrico artista cileno che vive a Parigi dal 1953. Fu uno dei fondatori del movimento di teatro Panico ed allievo e stretto collaboratore di Marcel Marceau. La notorietà di Jodorowsky si è consolidata negli anni ’70 con la regia cinematografica di film quali Il paese incantato, dall’omonima opera per il teatro di Fernando Arrabal, ed El Topo, che lo rivelò al pubblico internazionale. Jodorowsky collaborò intensamente anche con Moebius, sceneggiando i suoi fumetti fino a tutta la prima metà degli anni ottanta e producendo assieme a lui alcune fra le più belle strisce dell’importante rivista francese Métal Hurlant. Dagli anni ’90 si dedica alla scrittura: tra le produzioni letterarie recenti abbiamo il romanzo Albina o il popolo dei cani, La via dei tarocchi e La danza della realtà. In quasi tutti i libri viene esplorato il rapporto esoterico che lega l’uomo alla divinità. Jodorowsky, grande ammiratore di André Breton, negli anni 60 entra in contatto con una guaritrice messicana, Paquita, vedendo in lei un modo di agire analogo a quello surrealista: i metodi che Paquita utilizza per guarire i suoi “pazienti” non hanno nessun valore dal punto di vista della medicina canonica, ma la forza di suggestione che li pervade è tale da portare spesso il “paziente” a reagire, a intraprendere egli stesso la strada per una guarigione, oppure invece verso l’accettazione serena della malattia. Profondamente affascinato da un metodo di cura così aleatorio eppure così psicologicamente efficace, elabora una forma d’arte che abbia come fine la guarigione e la chiama Psicomagia. Egli propone all’interlocutore un gesto da realizzare in apparenza privo di logica, quello che chiama “gesto poetico”, in realtà con un dirompente impatto emotivo, che lo porterà a vedere e percepire la propria realtà da un punto di vista diverso e inconsueto. L’interlocutore, realizzando il gesto proposto dallo psicomago, spezza la quotidianità delle proprie problematiche e del suo personale vissuto, per arrivare a una nuova percezione del problema. Ne La danza della realtà Jodorowsky racconta di come si rivolse a lui e alla psicomagia per curarsi dalla depressione anche un grande attore italiano, non dice mai il nome ma è facile riconoscere Vittorio Gassman. Gassman non volle compiere il gesto psicomagico suggerito da Jodorowsky, un complesso rituale in cui doveva sgozzare un gallo sulla tomba della madre, dicendogli “ma io non posso. Io sono Gassman”. Per Jodorowsky la risposta rivelò la chiave della depressione dell’attore: il dover “portare” un nome come un’etichetta. Nel 2005, Jodorowsky celebra il matrimonio tra la rockstar Marilyn Manson, suo caro amico, e Dita Von Teese, regina del Burlesque, attualmente ha superato gli 80 anni: in ragione dell’età non incontra più nessuno privatamente e dedica tutte le energia agli stages in giro per il mondo ed alla produzione letteraria. Esistono due occasioni “tradizionali”, a Parigi, che Jodo ha lasciato a disposizione per incontrarlo in un contesto pubblico. La prima è quella di poter fare gratuitamente i Tarocchi con lui recandosi al Cafè Le Temeraire, n. 32 Avenue Daumesnil, métro Gare de Lyon; qui ogni mercoledì alle 15 circa, purché Jodo sia a Parigi o non abbia impedimenti, un numero variabile tra 20 e 25 persone può beneficiare gratuitamente della lettura delle carte lasciando un foglietto con nome e cognome in un cesto. Lui arriva e prende una manciata di biglietti, chi è fra quei nomi può beneficiare del privilegio. La seconda alternativa è assistere alle sessioni del Cabaret Mystique. Va precisato che non si tratta più delle grandi adunate di un tempo che si vedono in DVD e non capita più che durante queste performances Jodorowsky consigli atti psicomagici o faccia “indagini psicogenealogiche” a qualcuno che glielo chieda. Ora il Cabaret Mystique si è trasferito in una saletta da 70 posti circa all’interno della Libreria Les Cent Ciels al n. 12 di Avenue Jean Aicard, métro Ménilmontant. Nel 2007 è uscito per Castelvecchi Psicoposta, raccolta della corrispondenza avuta in questi anni con i lettori italiani di XL, un ottimo libro attraverso cui accostarsi con disinvoltura alla Psicomagia.