Frida e la realtà

Quando nel 1938 Frida Kahlo conobbe André Breton, lui si complimentò vivamente, definendo la sua arte surrealista al più alto livello. Frida rispose che lei non dipingeva sogni, ma la sua realtà. Era vero, quello che agli occhi di un europeo sembravano sogni o bizzarrie, erano segni decifrabilissimi nell’universo simbolico messicano e nella biografia dell’autrice. Frida dipingeva il suo mondo, in modo autentico, profondo, soavemente semplice, come gli artisti indigeni delle prime chiese coloniali raffiguravano angeli e serpenti piumati  allo stesso tempo.

Per chiunque dovesse prima o poi trovarsi a Coyoacan consiglio di far visita alla Casa Azul, la casa Museo di Frida Kahlo in cui sono raccolte le sue opere ed in cui nacque nel 1907. Il marito Diego Rivera si dedicò negli ultimi anni della sua vita a far conoscere il lavoro della moglie e donò la casa al popolo messicano. Con grande ammirazione affermava: “Frida è la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta e inesorabile schiettezza, si potrebbe dire in modo spietato ma nel contempo pacato, quei temi che riguardano esclusivamente le donne”.

http://www.fkahlo.com/

http://www.museofridakahlo.org.mx/

Pixação

Unisce due pratiche urbane, il graffitismo ed il parkour, ma essenzialmente è una forma di arte visiva. Emerge intorno al 1980 a São Paulo e rapidamente si trasforma in una modalità aggressiva e controversa tipica della città. Pixo è il risultato della pixação, uno stile calligrafico che deriva dalle scritte dei gruppi heavy metal e che sostanzialmente si rifà alle rune germaniche. Sicuramente esiste una connessione anche con gli stili calligrafici delle Gang chicane di San Francisco. Si tratta comunque di uno stile molto peculiare, una forma di espressione illegale nata prevalentemente da persone che vivono in aree estremamente marginalizzate e non hanno nulla da perdere e ben poco da aspettarsi, il loro obiettivo è vedere il proprio nome ed i propri messaggi scritti dovunque su edifici pubblici riconoscibili, compiendo acrobazie azzardate pur di arrivare a “conquistarli”. Nell’ottobre 2008 un gruppo di 40 pixowriters invade la Biennale di São Paulo, quell’anno sopranominata “Biennale del vuoto”. I pixoteros spiegarono, con discorsi e slogan di protesta, che la loro era la vera arte brasiliana e furono ampiamente applauditi dal pubblico prima di dover scappare dalla polizia.

Una megalopoli, una forma d’arte profondamente radicata nella società, espressa da settori marginali, che scuote e divide l’opinione pubblica e la vecchia Europa non ne sa praticamente nulla.

http://www.spexis.me/2009/11/samba-capoeira-caipirinhaand-pixacao/

Aire de Aira

César Aira, classe 1949. Argentino. Scrittore di romanzi, saggi ed articoli, spesso eccellenti talvolta solo sperimentali. E’ nato ed ha vissuto in una sconosciuta provincia, Pringles, fino a diciotto anni, poi ha fatto il salto a Baires per studiare diritto e li si è installato.  Vale la pena imbattersi nei suoi scritti, in italiano consiglio Il mago edito da  Feltrinelli. Si tratta di un romanzo in cui il protagonista è un mago senza immaginazione ma con un immenso potere, in Argentina esistoni degli eccellenti illusionisti molto popolari, questo è decisamente speciale. Qualcuno in patria definisce Aira “uno dei segreti meglio custoditi della letteratura argentina contemporanea”.  Preferisce editare le sue opere con piccole case editrici per il gusto, dice lui, di mettere il lettore nella condizione di dare la caccia al libro, di intraprendere una piccola investigazione. 

La Capoeira e l’arte di scomparire

Alla fine degli anni ’90 avevano iniziato a diffondersi corsi e scuole di Capoeira un po’ in tutta Italia. Si tratta di una lotta/danza tradizionale brasiliana molto suggestiva, con una storia interessante e dei belissimi rituali coreografici. Dal 2007 in poi, invece, è andata scomparendo dalle palestre e dai centri fitness.  Si è verificato il solito schema postmoderno: una conoscenza tradizionale, specifica di un luogo circoscritto, si è diffusa, semplificata e banalizzata, in tutto “l’Occidente”; in seguito “l’Occidente” l’ha superficialmente digerita, poi inglobata, poi ignorata.

Dietro questo processo si nasconde una sorta di umiliazione a cui vengono sottoposte una serie di pratiche tradizionali in nome della Moda. Lo stesso succede ad esempio con le arti marziali orientali, o con l’artigianato andino e africano, o con la musica dell’area del Caribe (Salsa, Mambo etc.).

Un sottile senso di superiorità serpeggia in questi neoadepti, affamati di esperienze ed esotismo, convinti di poter cogliere l’essenza di pratiche perfezionate in centinaia di anni con un corso di 6 mesi 2 volte a settimana. Tutt’al più in uno o due anni si usa e getta la cultura di un popolo.

Esperimenti impre(n)ditoriali di Eloisa

“Eloisa cartonera” nasce nel 2003 nel quartiere de La Boca a Buenos Aires.

Mentre tanta gente perdeva lavoro e potere d’acquisto e si riversava in strada con le pentole, un gruppo di persone decise di fabbricare libri unici con la carta raccolta dai cartoneros, libri famosi ed inediti, poesia, prosa e storie per bambini. All’inizio nel laboratorio si vendevano libri e verdura, poi con il tempo questo piccolo fenomeno porteño è stato oggetto di attenzione da parte della stampa di tutto il mondo. Ed ora quelle persone sono li, si sono costituite in cooperativa e vogliono comprare un terreno ed una nuova sede per non pagare più l’affitto, creare un orto biologico ed una scuola agraria per riconciliarsi con la terra, poi laboratori per fabbricare ancora tanti “libros cartoneros”. 

A ben guardare le foto si capisce che molte di queste persone discendono dai famosi “cabecita negra”. Non sono i ricchi di “pinta”  nordeuropea in stile Valeria Mazza, sembrano un po’ indios e un po’ napoletani. Questo perchè prima della grande immigrazione europea, fino all’ottocento, in Argentina esistevano i neri e gli indios, questi ultimi spazzati via dalla campagna del Deserto. E poi ci sono tanti giovani, quanti noi nella vecchia Europa non siamo più abituati a vedere. 

Quelle foto mi scatenano un sorriso spontaneo, perchè mi comunicano che quelle persone hanno ereditato i tratti e lo spirito comunitario di una parte dei loro avi, e lo impersonano e lo mantengono in vita, e lo aggiorneranno e lo faranno vivere ancora a lungo con i loro giovani sogni che si trasformano pian piano in realtà.

http://www.eloisacartonera.com.ar

O Rubem

Rubem Fonseca è un noto scrittore brasiliano, una specie di Camilleri tropicale, ma forse addirittura più geniale. Dagli anni ’90 nessuno pubblica più i suoi lavori in Italia. Negli anni ’60 fonda lo stile “brutalista”, uno stile essenziale ed asciutto che scuote e affascina. Fonseca è carioca, ha fatto parte della polizia di Rio prima di dedicarsi alla scrittura ed alla sceneggiatura televisiva e cinematografica. Ora ha quasi 90 anni. Per avere un quadro meno “afavelato” del brasile sarebbe importante avere la possibilità di leggere le sue opere, non tutte riuscite, ma imprescindibili.  Invece o Rubem in Italia è beatamente, o beotamente se volete, ignorato.

Perchè, per chi?

Letterature dei paesi latinoamericani, ed anche società e cultura. Perchè quasi nessuno in Europa se ne occupa, si avverte un’assenza imbarazzante.

Finito il fascino delle rivoluzioni, del chiosco sulla spiaggia e del real maravilloso, l’America (Latina) è tornata agli Americani, come recita la dottrina Monroe, persino da un punto di vista culturale. Le notizie che arrivano sono poche, spesso deformate e frammentarie; di nuovo quell’immenso spazio è tornato ad essere considerato “vuoto” dai nostri media, così come appariva alla visuale deformata dei primi conquistadores.

Allora per quei pochi che se ne interessano ancora, uno sguardo personale, un commento da chi ha speso un po’ della sua vita studiando questo mondo.