Spettacolo #Tessuto

Oggi promuovo uno spettacolo scritto da me che sarà messo in scena ad ARTERIE, festival rassegna di ipotesi espressive nel paesino di Cantalupo in Sabina. Tratta di una immaginaria emigrata brasiliana.

Sabato e Domenica sera al Festival ARTERIE di Cantalupo in Sabina
Cascina Barà presenta
Spettacolo performativo
Da un’idea di Daniela Zambon Scarpari
Scritto da Alessandra De Luca, Daniela Zambon Scarpari e Alessio Trillini
Adattamento per il Teatro: Daniela Zambon Scarpari
Interprete: Daniela Zambon Scarpari
Regia visuale e tag-tool idea: Fupete
Produzione e disegno dal vivo: Alessio Trillini
Musiche: Lorf, Alessandra De Luca
Musica dal vivo: Lorf
Con la collaborazione di Erika Gabbani – Nasonero
L’idea
Spettacolo performativo costruito su una delicata trama visionaria per immagini e sull’interazione fra recitazione, disegno e musica dal vivo.  L’atto teatrale sconfina non tanto spazialmente quanto concettualmente, avvalendosi di altre modalità artistiche ed incorporandole nell’azione, dando vita ad uno spettacolo fluido e mobile, in certi passi performativo, che qualcuno ha definito “quasi un film dal vivo”. Un esperimento che ha la finalità di stabilire un delicato rapporto di fiducia con il pubblico attraverso un dialogo fra modalità espressive diverse che costruiscono situazioni poetiche, con inoltre lo scopo di trasferire agli spettatori e trascendere contenuti forti, violenti, talvolta brutali. Un tipo di teatro sociale che indaga due ordini di conflitti contemporanei: l’esclusione dello straniero che trova la sua deriva nell’annientamento dell’individualità, e l’impossibilità di comprendere in pieno il punto di vista dell’altro all’interno di un rapporto intergenerazionale, in specifico quello tra madre e figlia.
La storia
Nell’arco di una notte Mia racconta la storia di sua madre Teresinha, un’immigrata che lavorava in Italia come sarta, scomparsa misteriosamente. Teresinha fin da piccola collezionava parole, stava costruendo un diario-patchwork. Mia ritrova il diario di tessuto all’arrivo in casa di sua madre, ma la casa è vuota. Leggendo il diario scopre parti di se stessa ed inizia a conoscere più a fondo la storia di questa donna che non ha mai potuto occuparsi di lei: la durezza della sua vita, la fuga, la violenza, la miseria. La sarta operaia è sempre vissuta in clandestinità, incastrata in un mondo sospeso, che non si trova né nella sua patria d’origine né in quella che la accoglie per lavoro. Il patchwork è incompleto e Mia decide di finirlo, ma si punge con un ago e inizia a dissanguarsi, prova a fermare l’emorragia ma non ci riesce come per un lento, malvagio incantesimo. Tanto più comprenderà la storia di sua madre e la sua, quanto più il destino di Mia si sovrapporrà a quello di Teresinha, ma troverà nuovi modi per torturarla…
Chi
Lo spettacolo è frutto dell’incontro di persone dedite ad attività artistiche diverse e con background differenti, che si sono organizzate per lavorare alla sua realizzazione come trovandosi in uno spazio pubblico astratto, poroso, privo di confini e di restrizioni categoriche. Ne nasce una regia collettiva, un lavoro corale sul testo, un Collettivo che risiede idealmente nella Cascina Barà.- dintorni di Pisa. Lo spettacolo è stato finalista al Premio 12 donne – Città di Rieti 2011 e semifinalista alla Borsa Teatrale Anna Pancirolli di Milano 2012.

Brie con gusto: il Teatro de los Andes

Il Teatro de los Andes nasce in Bolivia nell’Agosto de 1991, su impulso dell’attore Cesar Brie. Si trova a Yotala, vicino Sucre, ed è un teatro-fattoria dove si preparano e presentano spettacoli, si ospitano artisti, si realizzano incontri e laboratori. L’obiettivo di questa esperienza è formare un attore nel senso etimologico del termine: che fa, che crea. Per questo gli attori si sottopongono ad un allenamento quotidiano dal punto di vista fisico e vocale e lavorano su forme di improvvisazione e composizione a “tornare in sé”. Lo stile è improntato sulla relazione con il pubblico che determina l’uscita del teatro dai teatri per portarlo dove si trova la gente: università, piazze, quartieri, villaggi, luoghi di lavoro, comunità: “Cercare un nuovo pubblico per il teatro e creare un nuovo teatro per questo pubblico. Il teatro è il luogo per eccellenza dove si conosce ‘l’altro’. Noi facciamo un teatro molto legato ai sentimenti del pubblico, non commerciale, che si propone al pubblico come testimone”. Sono 19 anni che ci stanno riuscendo e, ancora oggi, sono in grado lanciare alla gente messaggi importanti: la contaminazione di razze, culture, usi, le migrazioni, crearono sempre nuove forme espressive; si sono perse cose antiche, ma ciò che è sorto dall’incontro e dal miscuglio è una nuova modalità attraverso cui l’uomo di oggi si esprime, figlio della sua condizione, con la memoria aperta a ciò che è stato e la mente proiettata in avanti. Quest’uomo è il soggetto-oggetto di questo teatro.

 Cesar Brie è un giramondo, un po’ per scelta professionale un po’ a causa dell’esilio forzato. Una di quelle persone che dice di essere grata all’esilio perché, sebbene sia stato molto duro, gli ha permesso di conoscere il mondo e le persone, cosa fondamentale per il suo lavoro. Dedica molto del suo tempo alla formazione di altri attori, con altre estetiche perché per lui “Il problema più grande non è formare gente che la pensa come te. Il vero problema è formare persone che abbiano le loro vedute. Gli allievi devono ‘tradire’ i maestri. Questa è l’unica forma di rispetto possibile.” No c’è dubbio che sia un grande maestro! Del suo lavoro teatrale dice: “Spero che vedendo una mia opera lo spettatore veda qualcosa di sé che lo inquieti. Io vorrei divertire e commuovere il pubblico. Vorrei riuscire a non far dormire sonni tranquilli alle persone che assistono a questi spettacoli. Vorrei che riconoscessero se stessi nelle emozioni che hanno vissuto durante la messa in scena.” Spesso Cesar Brie fa tappa in Italia, la sua “terza patria”, vale la pena non perderselo.