Declinazioni della morte

catrina-350La percezione della morte in Messico è molto differente rispetto a quella europea e nordamericana, in cui invece è spesso sentita come qualcosa di innominabile, da nascondere e dimenticare, insomma un tabù contemporaneo. Con molta probabilità ciò dipende dalle varie influenze culturali che si sono stratificate e fuse nel corso della storia di questo affascinante paese ed hanno caricato il Trapasso di significati complessi e di difficile decifrazione per i non messicani.
Alla base di questa complessità troviamo da una parte la concezione dei popoli preispanici, con la loro propria cosmogonia e l’inframundo, dall’altra l’innesto della cultura cattolica con il giorno dei morti – ricorrenza messicana di primo piano- e quello di ognissanti. E poi pan de muertos, calaveritas, Catrinas, Santa Muerte, Altares de muertos ed un’infinità di altre usanze e costumi…
Ma andiamo per gradi: chi sono las Catrinas e perché si vedono spuntare su manifesti e sorridere inquietantemente dalle bancarelle e dalle vetrine dei negozi di artigianato durante tutto l’anno? Sono un’invenzione novecentesca e sono entrate ormai nel costume messicano, in pratica sono un po’ l’equivalente del ventaglio per la Spagna. caTrinaLa Catrina fu creata dal caricaturista José Guadalupe Posada intorno al 1913 ed ha anche un corrispettivo maschile, El Catrin. All’epoca si chiamava calavera garbancera, ovvero teschio venditore di ceci ed era una rappresentazione satirica delle messicane che pur avendo sangue indigeno volevano apparire ad ogni costo europee, moda pretenziosa diffusa durante il porfiriato; per questo motivo pur essendo solo ossa indossa un cappello alla francese e le piume di struzzo. Diego Rivera riprese questo personaggio nel suo mural Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central e gli diede il nome di Catrina per la prima volta. E’ una figura molto amata in particolare nella città di Aguascalientes, in cui esiste un monumento a lei dedicato e si celebra una fiera dei teschi nei giorni vicini al Dia de los muertos. La Catrina è stata ricreata e reinterpretata da numerosi artisti durante i suoi cento anni di vita: a volte si presenta allegra e riccamente vestita, civetta e seduttrice. Altre volte malevola e minacciosa, in procinto di scatenare la sua potenza distruttrice. Altre ancora La Catrina ed El Catrin sono insieme, ballano, passeggiano, si divertono e rappresentano il piacere e la voglia di vivere del popolo messicano nonostante la consapevolezza della morte.
lasantamuerteDi tutt’altra cosa si tratta invece quando si parla della Santa Muerte, un culto che, secondo quanto ci racconta il libro di Fabrizio Lorusso, sembra avere una radice indigena. Sopravvissuto alla conquista ed all’evangelizzazione è riapparso prepotentemente nel 2001, quando nel quartiere Tepito a Città del Messico Doña Queta ha tirato fuori da casa sua la statua della Santa ed in poco tempo è divenuta oggetto di adorazione da parte di folle sempre più・numerose. Contrariamente a quanto ci propongono molte suggestioni televisive, la Santa non è venerata esclusivamente dai narcotrafficanti, ma protegge gli emarginati, i disperati, gli ultimi. Naturalmente senza l’assenso di orde di pentecostali, evangelici e via dicendo che invadono attualmente l’America Latina e tanto meno della Chiesa di Roma che, pur di non soccombere, gli ha scatenato contro san Judas (Giuda Taddeo). La Santa Muerte ha moltissimi appellativi: Niña Blanca, Flaquita, Hermana Blanca, Hermosa sono solo alcuni. In circa dieci anni si è trasformata da Clandestina a Santa Globale, attualmente venerata in moltissime parti del mondo ed ancora in ascesa.
Voglio infine citare la tradizione delle Calaveras Literarias: poemetti tradizionali politico-satirici promossi perfino dal Fondo de Cultura de Mexico.
Nella cultura messicana la morte è un avvenimento particolare e trascendente per il quale si conservano le tradizioni e le usanze più significative ed in nessun modo viene occultata o ignorata. Il giorno dei morti la tradizione vuole che le tombe dei propri cari vengano addobbate festosamente ed addirittura trasformate in tavole dove si consumano i cibi preparati per la festa, cosa che a molti europei farebbe orrore. In Messico la morte viene celebrata in modo unico e speciale, a tal punto che il Giorno dei Morti è diventato un Patrimonio Intangibile dell’Umanità riconosciuto dall’UNESCO.

Festival di cinema e letteratura

Festival_del_cinema_e_letteratura_latino_americana_thumbAl Teatro Tor Bella Monaca di Roma, promosso dall’associazione  Nuovi Orizzonti Latini e dal Dipartimento IX Servizi Sociali della Provincia di Roma domani si apre un ciclo di eventi dedicati alla cultura latinoamericana.

Programma

martedì 8 ottobre OMAGGIO A JULIO CORTÀZAR

concerto Jazz a cura del musicista Fausto Ferraiuolo
canta Betty Gilmore

presentazione del libro Carta Carbone. Lettere ad amici scrittori
di Julio Cortázar
a cura di Luis Dapelo e della traduttrice, curatrice Giulia Zavagna

Vino d’onore offerto dall’Ambasciata Argentina.

proiezione del film Alejandra Pizarnik: Memoria iluminada, di Ernesto Ardito e Virna Molina
Argentina, 2011, 110’, V.O. Spagnolo. Sott. Italiano

Alejandra Pizarnik poetessa muore suicida il 25 settembre 1972, per un’overdose di seconal. Dopo la sua morte, lo scrittore argentino Julio Cortázar le dedicò la poesia Aquí Alejandra. Regista in sala

Durante il loro percorso cinematografico la coppia ha ricevuto oltre 30 premi internazionali; sono stati i primi cineasti argentini che hanno partecipato al concorso internazionale del Festival di Cinema Documentario di Yamagata, in Giappone; inoltre, hanno avuto l’onore di aprire il Robert Flaherty Film Seminar, il seminario di documentaristi più prestigioso al mondo.

mercoledì 9 ottobre OMAGGIO A JORGE AMADO

proiezione del film Capitães de areia/Capitani della spiaggia, di Cecília Amado, Brasile, 2012, 96’; V.O. Portoghese. Sott. Italiano. Dall’omonimo romanzo di Jorge Amado.

Abbandonati dalle loro famiglie, i capitani della spiaggia sono bambini o adolescenti che cercano di sopravvivere nel crudo universo delle strade di Salvador de Bahia.

proiezione del film Realtà e magia di Jorge Amado, di Silvana Palumbieri, 47’, 2012, Brasile/Italia. Dopp. Italiano

Realtà e magia di Jorge Amado di Silvana Palumbieri è prodotto da Rai Teche per il centenario della nascita di Jorge Amado E’ il primo lavoro realizzato in Europa sulla magnifica vicenda biografico- letteraria del grande scrittore brasiliano. Con la forma del Found footage Film nasce un variegato racconto, con le immagini dell’immensa memoria fantasmagorica del mondo posseduta dalle Teche che prendono un’inattesa rilevanza. Sono interviste e discorsi, spezzoni di documentari, news; brani di film, di teatro, lirici; foto, illustrazioni, dipinti. Regista in sala

giovedì 10 ottobre

proiezione del film Pantaleón y las Visitadoras/Pantaleón e le Visitatrici, di Francisco Lombardi, Perù, 202, 147’, V.O. Spagnolo, Sott. Italiano
con Angie Cepeda; Salvador Del Solar; Pilar Bardem; Monica Sánchez; Gianfranco Brero; Gustavo Bueno
tratto dell’omonima opera di Mario Vargas Llosa, Premio Nobel della Letteratura, 2010.

il capitano dell’esercito peruviano Pantaleón Pentoya viene chiamato ad una nuova missione: organizzare un servizio di ‘visitatrici’, ragazze pronte a soddisfare i bisogni sessuali dei ragazzi assegnati alle postazioni più remote nella giungla amazzonica. La cosa riesce con successo e anche lo stesso Pantaleón si trova ammaliato da una delle ragazze, la Colombiana. Ma una giornalista scopre l’organizzazione e inizia una campagna diffamatoria che metterà in crisi la fama integerrima e la vita coniugale del capitano.

Danze andine

proiezione del film Gringo Vecchio,di Jesús Puenzo
con Jane Fonda, Gregory Peck, Jimmy Smits, Salvador Sánchez. Luis Puenzo.
Genere: Western, 119 minuti – Produzione: USA 1989.

Tratto dall’omonimo romanzo Gringo Viejo di Carlos Fuentes (Panamá, 11 novembre 1928 – Città del Messico, 15 maggio 2012).

Siamo nel 1913, sullo sfondo tumultuoso della Rivoluzione Messicana, capeggiata da Pancho Villa; un’intrepida e frustrata zitella (Jane Fonda), un ex-giornalista e un coraggioso generale, si ritrovano inspiegabilmente uniti di fronte all’amore, alla morte e alla guerra in una di quelle vicende che capitano solo una volta nella vita

venerdì 11 ottobre

proiezione del documentario María Elena Walsh, sulla vita ed opera della cantante, poetessa, scrittrice e drammaturga argentina María Elena Walsh. Regia: Ernesto Ardito e Virna Molina; Argentina, 55’, 2012, V.O. Spagnolo, sott. Italiano

Il documentario percorre la sua adolescenza come precoce poetessa fino agli ultimi anni. Rinomata per i suoi libri per bambini, ha creato dei personaggi commoventi come Manuelita, la tartaruga che ha ispirato il film Manuelita (1999) con la regia di Manuel García Ferré. I suoi temi sono stati interpretati da Mercedes Sosa e Joan Manuel Serrat. Regista in sala

proiezione del film Bolaño cercano/Bolaño vicino, di Erik Haasnoot, Spagna/Messico, 2008, 40′, V.O. Spagnolo. sott. Italiano

La famiglia e gli amici più intimi dello scrittore cileno Roberto Bolaño dialogano sulla vita e svelano alcuni misteri sulla sua scrittura. Ambientato a Blanes, Barcellona e Messico DF, il documentario raccoglie le testimonianze di Carolina López (la moglie), dei figli di Roberto (Alexandra e Lautaro Bolaño), e degli scrittori: Antoni García Porta, Enrique Vila-Matas, Rodrigo Fresán e Juan Villoro. Regista in sala

Concerto dedicato ai poeti latinoamericani Pablo Neruda, Mario Benedetti, Alfonsina Storni, Alejandra Pizarnik, César Vallejo
con Eliana Sanna voce Martín Troncoso chitarra

 

 

Cimarronaje. Forme di resistenza: la capoeira e la pratica oggi

Early_Capoeira[1]Oggi presento un contributo del Contra Mestre di Capoeira “Capacete” recentemente trasferitosi a Roma, che ringrazio sentitamente. Si tratterà fra le altre cose delle origini della Capoeira, delle differenze tra Angola e Regional, degli strumenti musicali e di come ci si comporta in roda. Buon divertimento!
Esiste a tutt’oggi un acceso dibattito sull’origine della capoeira. Le principali ipotesi sono:

a) Origine afro-brasiliana.
b) Origine africana.
c) Origine brasiliana urbana.
d) Origine brasiliana indigena.

La più accreditata dalla maggior parte degli studiosi e capoeristi è quella dell’Origine afro-brasiliana. Si basa sul fatto che nelle numerose nazioni del continente africano esistevano già diverse lotte, infatti sono stati catalogati più di 10 tipi di arti marziali tipiche africane. Il traffico di schiavi incentivò le guerre fra tribù, numerosi guerrieri e nobili africani furono ridotti in schiavitù e forzati a convivere con altre culture (europee, africane e indigene). Da questa convivenza in Brasile in epoca coloniale e dalla lotta per la libertà e la dignità del popolo africano e dei suoi discendenti, scaturirono le condizioni storiche ottimali per la nascita della Capoeira, che rappresentò un elemento di amalgama culturale.

É bene ricordare che la schiavitù è esistita in tutto il continente americano ed in qualsiasi luogo in cui ci fu la schiavitù, gli africani si ribellarono, ma solo in Brasile ( sia coloniale che imperiale e repubblicano) è possibile trovare documenti che descrivono la resistenza africana e afro-brasiliana attraverso quella particolare commistione fra lotta e danza che venne chiamata Capoeira e che oggi si è trasformata in una ricca e completa manifestazione culturale, una vera arte di essere e di vivere alla maniera brasiliana, che attualmentei si pratica in più di 160 paesi. Questa crescita ha un duplice aspetto: se da un lato è assicurata la diffusione di un aspetto così caratteristico della cultura brasiliana, dall’altro la distanza la rende vulnerabile e soggetta a possibili mistificazioni.

IL NOME CAPOEIRA
Così come per l’origine, anche il nome “Capoeira” è oggetto di discussione. Le ipotesi principali sulll’etimologia del termine sono le seguenti:

a) Fuga verso il bosco (caápuera).
b) Nome dato ai cesti di vimini (capoeiras) usati per tenere gli uccelli.
c) Nome di un piccolo volatile, simile a una quaglia, chiamata capoeira o covado.

L’ipotesi più accreditata è la prima ed è basata sul fatto che in epoca coloniale e imperiale, quando un nero fuggiva molte volte si nascondeva nei boschi vicini agli insediamenti e da li attendeva i passanti che transitavano nelle strade, alla ricerca di viveri e armi. Questi boschi erano chiamati CAPOEIRA (dal tupi-guarani caápuera, dove caá = bosco e puera = tagliato), il nero in quel contesto veniva chiamato Capoeira. Le persone che per lavoro davano la caccia ai fuggitivierano invece chiamate “Capitão do Mato” (trad.: capitano del bosco).

CONCETTI PRINCIPALI

La Capoeira è un’arte ed una conoscenza tradizionale brasiliana, di radice africana, espressa attraverso il corpo, principalmente in forma di lotta, danza e canto. Capoeira è anche il praticante del gioco della Capoeira.
Il Capoeirista: il seguace e diffusore dell’arte e del sapere della Capoeira. Capoeiragem: processo e condizioni nelle quali si sviluppano l’arte e il sapere della capoeira.
Ciclo dei Vecchi Maestri Baiani: periodo approssimativamente compreso tra le prime decadi del XX secolo fino agli anni ’80. In questo periodo si son consolidati i comportamenti e le basi civilizzatrici della Capoeira Tradizionale Baiana. Capoeira Tradizionale Baiana: segmento capoeirístico che esprime le concezioni del sapere e dell’estetica del ciclo dei vecchi maestri baiani nell’attualità.

LA CAPOEIRA ANGOLA E LA CAPOEIRA REGIONAL
Affinchè si possa capire correttamente cos’è l’Angola e la Regional, è necessario sapere che:
1) Dal Brasile coloniale fino al termine di quello imperiale, non esisteva una pratica di Capoeira associata al suono del berimbau. Visto che la Capoeira era una manifestazione di ribellione dei neri schiavi e delle sezioni più marginalizzate della società, fu duramente repressa dal sistema dominante fino ad esser considerata un crimine incluso nel Codice Penale Brasiliano. Questa durissima repressione la fece praticamente scomparire dai luoghi principali in cui veniva praticata (Rio de Janeiro, Pernabuco e Bahia tra i vari).
A Bahia, con la fine dell’impero e l’inizio della repubblica, i capoeiristi iniziarono ad includere nella pratica della capoeira durante la roda il berimbau e a simulare una lotta danzata senza la necessità di contatto fisico. Queste due novità furono le basi su cui fu costruito il Modello Baiano di Roda di Capoeira, che a partire dagli anni ’60 si diffuse nel resto del Brasile e del mondo. Riassumendo, ciò che caratterizza il modello baiano è, principalmente, ciò che segue:

a) La relazione di ogni tocco di berimbau con un tipo di gioco.
b) La simulazione “danzata” di lotta con un minimo di contatto fisico ma senza l’obbligo dello stesso.
c) L’aspetto ludico e ritualistico dato al gioco.
d) Gli allenamenti dedicati all’autodifesa praticati fuori della roda e senza l’uso obbligatorio del berimbau.
2) Fino alla metà degli anni ’30 il nome usato a Bahia e in Brasile per la lotta-danza era Capoeira, ma era anche conosciuta come “vadiação”, “brincadeira” o “jogo de velho”.
Manuel dos Reis Machado (Mestre Bimba), nato a Salvador de Bahia (23/11/1900 – 05/02/1974), capoeirista, alunno di un africano chiamato Bentinho, credeva che il gioco di capoeira praticato negli anni ’20 stesse perdendo l’essenza di lotta e che alcuni dei suoi elementi vitali stessero diventando eccessivamente simulati. Pertanto, iniziando con la capoeira da lui praticata, introdusse colpi di un’altra lotta-danza guerriera praticata all’epoca a Bahia, chiamata Batuque, e forse di altre pratiche afro-brasiliane. Creò un metodo di insegnamento distinto da quello che si conosceva, molto più organizzato e strutturato e aprì la prima accademia di capoeira di cui si ha notizia, chiamata Centro de Cultura Fisica Regional Baiana, chiamando il suo metodo Luta Regional Baiana, perchè non poteva includere la parola Capoeira, che all’epoca era ancora vietata dal codice penale brasiliano. Bimba, a partire da allora, divenne molto famoso ed acquisì molta visibilità sociale.
Gli altri capoeiristi della sua epoca criticarono il lavoro di Bimba, adducendo come principale motivazione il fatto che la capoeira che Bimba insegnava era una deturpazione della Capoeira che loro praticavano e per differenziarsi da Bimba, iniziarono a denominarsi Capoeiras Angolas, essendo appoggiati da alcuni intellettuali baiani dell’epoca, come l’influente studioso Edison Carneiro.

3) I Capoeiras Angolas avevano come principale esponente dei loro pensieri e inquietudini il Mestre Vincente Ferreira Pastinha (5/4/1889 – 13/11/1981), capoerista, alunno dell’africano Benedito, che fondò (1941) e diresse il Centro Esportivo de Capoeira Angola (CECA). Pastinha unì e organizzò gli angoleiros, contribuendo alla sopravvivenza dello stile e dandogli una concezione etica, filosofica e estetica, diventando senza ombra di dubbio il suo maggior rappresentante, essendo la sua corrente di pensiero predominante tra i Capoeiras Angolas.
4) Alla fine degli anni ’60 e inizio dei ’70, si succedono la morte di Mestre Bimba e l’inattività di Mestre Pastinha. In questa stessa epoca, l’industria del turismo inizia ad installarsi a Salvador de Bahia, contemporaneamente si assistette alla migrazione di molti baiani, tra cui alcuni capoeiristi, verso i grandi centri urbani (São Paulo e Rio de Janeiro).

A Bahia, i gruppi folclorici inclusero la capoeira nelle loro esibizioni e, per assumere un tono più spettacolare, iniziarono a introdurre elementi esterni al gioco di capoeira, come salti ginnici e circensi, con il fine di attirare l’attenzione dei turisti. Anche a San Paolo e Rio de Janeiro alcuni capoeiristi emigranti modificarono il gioco per renderlo più attrattivo nel nuovo assetto sociale, introducendo elementi di altre lotte e sottilineando eccessivamente aspetti sportivi e mercantili della capoeira a scapito di altri.
Questi fatti portarono la Capoeira Tradizionale Baiana a subire un processo di folclorizzazione, commercializzazione e sportivizzazione, da quel momento iniziarono a comparire deturpazioni profonde nelle metodologie tradizionali, in particolare nella Capoeira Regional, che fu modificata profondamente, fino al punto di privarla totalmente delle sue caratteristiche basilari, a queste deturpazioni è soggetta ancora oggi. Il 90% della Capoeira che si definisce Regional al giorno d’oggi, non ha niente a che vedere con la legittima Capoeira Regional Baiana del Mestre Bimba. Anche la capoeira Angola attualmente sta subendo un processo simile alla regional.

5) La separazione della capoeira baiana negli stili Angola e Regional è un fenomeno nato solo a metà degli anni ’30. Le differenze tra i due stili sono più metodologiche che filosofiche, ed entrambi preservano nei loro metodi di insegnamento e pratica una radice popolare afro-brasiliana legata all’aspirazione alla libertà ed alla sopravvivenza e conservazione di antiche tradizioni e pratiche culturali. Ci sono dunque più somiglianze che distinzioni tra Angola e Regional di Bimba, sebbene molti pensino il contrario: in taluni casi si tratta di discorsi che toccano interessi personali.

6) Tanto l’Angola quanto la legittima Regional di Mestre Bimba preservano nella loro pratica quotidiana la filosofia e le espressioni ancestrali delle origini afro-brasiliane. Entrambe sono il risultato di manifestazioni culturali differenti che includono lotta, danza, musica, filosofia, spiritualità, teatro, divertimento, rituali e gioco.

CAPOEIRA ANGOLA

Nell’Angola si manifestarono nel tempo varie correnti e linee di pensiero e comportamento. Queste correnti differiscono solo in piccoli dettagli o differenze espresse nella pratica del gioco. Le principali sono: configurazione della bateria, tipi e nomi di tocchi di berimbau, nomi dei colpi, uniforme e sistema di gradi e gerarchie, velocità della cadenza, altezza del gioco.
Queste linee dell’Angola sono prodotti del suo processo storico di costruzione, in cui ogni maestro inserisce nella pratica del gioco la sua maniera di intendere il rituale della roda. Sono differenze che arricchiscono il rituale e non hanno mai impedito la convivenza e il gioco tra le diverse linee.
Le principali linee si chiamano: Cobrinha Verde, Caiçara, Canjiquinha, Bobó, Valdemar e Pastinha, essendo quest’ultimo la corrente più accettata e seguita dalla maggiorparte degli angoleiros. La linea di Pastinha può contare su tre grandi maestri rappresentanti, che furono suoi discepoli diretti: João Pequeno, João Grande e Curió.

CAPOEIRA REGIONAL

La Regional ebbe un unico creatore: Mestre Bimba. Lui creò un metodo di insegnamento ben strutturato pedagogicamente e lo lasciò documentato. Questo metodo di insegnamento è costituito dai seguenti elementi: controllo delle condizioni fisiche dell’alunno, ginnastica preparatoria, sequenze coreografate di colpi, allenamento dei colpi, sequenze di colpi di proiezione (balões) chiamati Cintura Desprezada, allenamenti e corsi di specializzazione (esquenta-banho, bumba-meu-boi e emboscada) che sono dedicati alla difesa personale (fisica o con armi). Nella parte rituale e socio-festiva, abbiamo il Batizado (padrino e affiliato) e la Formatura degli alunni (con classi, patroni, madrina, medaglie e fazzoletti di graduazione) e tornei, chiacchierate e feijoadas. L’esecuzione ritmica è ben elaborata, con un alto livello di complessità ed i giochi della roda sono vari e raffinati.

CANTARE, SUONARE e GIOCARE nella CAPOEIRA

Per essere un buon capoeirista è necessario saper giocare, suonare e cantare e per ognuno di questi elementi sono indispensabili tempo, pratica e ricerca. Servono dedizione, disciplina e impegno. Il capoeirista tradizionale apprezza i giochi sofisitcati ed i colpi da maestro. Una roda con buoni musicisti e cantanti, fa in modo che i giocatori possano mostrare tutte le loro potenzialità. Essere virtuoso e competente nell’arte del gioco, del canto e della musica deve essere un ideale inseguito dai capoeiristi, dato che è in questi elementi che si nascondono segreti e dettagli della capoeiragem.
Ricetta di una buona roda: bravi musicisti, bravi cantanti e bravi giocatori. Tutto questo produce ore e ore di allegria individuale e collettiva indescrivibile.

SUONARE

La relazione tra tocchi di berimbau e tipo di gioco è abbastanza varia, ed è molto importante che il capoeira capisca come si suonano gli strumenti e qual’è la loro funzione dentro la roda.
Tanto nella capoeira Angola quanto nella Regional, il suono e il ritmo del berimbau è quello che comanda la roda. Il berimbau è lo strumento principale e deve essere lo strumento più ascoltato e quello che fa più assoli e variazioni, poichè è ciò che determina la cadenza e il tipo di gioco. Gli altri strumenti sono semplicemente accompagnamenti e conduttori del ritmo, e non possono mai coprire il suono del berimbau. Nella roda di capoeira l’unico che parla a voce alta è il berimbau.

Strumenti della Capoeira Angola : in questo stile l’insieme degli strumenti usati nella roda è chiamato Orchestra o Bateria. Gli strumenti usati sono i seguenti: un berimbau accordato grave (Gunga o Berra-boi), un berimbau accordato in medio (Centro, Medio o Berimbau), e un berimbau accordato acuto (Viola o Violinha), uno o due pandeiros, una agogô, un reco-reco e un atabaque.

I tre berimbau suonano allo stesso tempo, quello che ha il suono grave da il ritmo e la cadenza, essendo generalmente suonato dal mestre o da un capoeirista esperto. Questo berimbau è quello dedicato alla base ritmica, dunque fa poche variazioni. Il berimbau dal tono medio dovrà sempre fare il tocco che fa il berimbau grave al contrario, lasciando spazi per fare variazioni. Quello dal tono acuto è libero di fare assoli occupando e incastrandosi negli spazi sonori lasciati dagli altri due berimbau. Gli altri strumenti devono essere suonati sempre nello stesso senso di accompagnamento ritmico, non sovrapponendosi ai berimbau.

Strumenti della Capoeira Regional: All’insieme degli strumenti nella roda di Regional, è dato il nome di Charanga, che è formata da un Berimbau (chiamato Gunga), accordato in tono grave o medio e da due pandeiros, quando un pandeiro segue l’altro può variare. Nella regional l’accompagnamento ritmico può essere fatto con i palmi delle mani battuti dai componenti della roda e da chi assiste.

CANTARE

Il canto è un elemento importantissimo per la roda di Capoeira. Con la musica si da energia alla roda. I testi raccontano scene quotidiane o di storia della Capoeira. Parlano di un po’ di tutto: dell’allegria dell’essere capoeira, dell’amore, della rabbia, dell’odio, della giustizia e dell’ingiustizia, del rispetto, della libertà, della schiavitù; parlano della capoeira per il capoeira.
Il buon cantante di capoeira deve essere melodico e ritmato. Il solfeggio ed altre variazioni della voce sono elementi che arricchiscono la musicalità della capoeira.
La distribuzione delle musiche a lungo termine durante la roda, obbedisce alla seguente logica: 10) Musiche relative all’inizio della roda o altro tema libero. 20) Musiche su vari argomenti cantate durante lo scorrere della roda 30) Musiche di saluto che annunciano la fine della roda.
Você quer ver uma roda ficar boa? Quem não canta bate palma , que é prá não ficar a toa. (trad.: vuoi vedere una roda buona? Chi non canta batte le mani, per non perdere la concetrazione)

– Musica nell’Angola: La ladainha, o Canto de entrata o Chula e il Corrido sono i tipi di musica dell’Angola.
La Ladainha é cantata all’inizio del gioco da un solista. È importante gridare un “IÊÊE” prima di cantarla. Al termine della Ladainha, il solista inizia a cantare il Canto di entrata o Chula, che è ripetuto dal coro (composto dagli altri membri della roda) e dopo si da inizio ai Corridos, cantati dal solista e ripetuti dal coro.
– Musica nella Regional : Nella regional la musica cantata all’inizio del gioco è chiamata Quadra (normalmente decisamente più corta della Ladainha) e non viene gridato alcun “IÊÊÊ”. Dopo di questa si canta il Canto d’entrata o Chula, che successivamente è accompagnato dalle mani e viene terminato cantando obbligatoriamente la seguente frase “Volta do Mundo” , che è il segnale per l’inizio del gioco e, dopo, si canta il Corrido.

GIOCARE

La roda di capoeira esiste perchè possa esserci gioco di capoeira. Il canto, gli strumenti, i rituali, le attenzioni, ossia tutto ciò che succede nella roda, sono messe in pratica per propiziare buone condizioni per i giocatori. Il gioco è il momento magico, di rilievo e piacere per il capoeirista. É il momento in cui tutti gli elementi che costituiscono la roda si armonizzano e si trasformano in un solo corpo. É l’opportunità per il capoeirista di mostrare tutta la sua tecnica, tutta la sua conoscenza, di dialogare attraverso il corpo, di duellare danzando, di fraternizzare giocando. É il momento di giocare, di vadiar, di equilibrare le emozioni, di dosare i sentimenti cosiddetti positivi e negativi (allegria, rabbia, orgoglio, umiltà, ansia, calma, etc.). Il capoeira non può dimenticarsi di ciò e trasformare la roda in una arena o un palco esclusivo per le sue vanità.

Esistono vari tipi di giochi, ognuno da un obiettivo o un rilievo ad alcune qualità del giocatore. I tocchi più rapidi danno più enfasi all’agilità, ai riflessi e alle guardie alte, mentre i più lenti al controllo dei movimenti, alla malizia e alle guardie basse.
In qualsiasi tipo di gioco si deve sempre ascoltare il berimbau e attraverso questo guidare la cadenza del gioco e la velocità del colpo e al tempo stesso stare attenti alla musica che viene cantata.

Il bravo giocatore fa in modo di possedere un buon repertorio di giochi, di abilità e di trucchi, avendo in mente che il principale elemento del gioco è la malizia. Cerca sempre nuove maniere di approcciarsi al gioco, creando difficoltà e situazioni distinte, spingendo se stessi ed il compagno di gioco a dare il meglio, cercando di superarsi in ogni gioco.

Il gioco di capoeira è fatto per e con l’altro. Esistono floreios (attitudini meramente estetiche) nel gioco. Questi servono a dimostrare il controllo del capoeirista sul suo corpo. Questi ultimi devono essere esibiti dando un senso al gioco, ovvero in relazione all’altro e mai in maniera isolata.

É normale e perfettamente accettabile nel gioco di capoeira che ci siano colpi desequilibranti o l’esecuzione di un colpo più forte (una testata “spingente” invece che “battente”, ad esempio), ma sempre con l’attenzione all’integrità fisica dell’altro giocatore e propria.

COME COMPORTARSI IN RODA

La roda di capoeira è una riunione sociale come qualsiasi altra, caratterizzata e mossa dall’energia dell’allegria e dalla partecipazione di tutti i presenti. Pertanto si canta, suona e gioca dall’inizio alla fine e si evitano conversazioni parallele.

Una roda ufficiale o commemorativa è importante per coloro che la promuovono. Pertanto è necessario andare vestiti e calzati adeguatamente con l’uniforme di capoeira a seconda del rituale della roda, un segnale che dimostra stima e rispetto per l’attività degli altri. I vestiti sporchi sono segno di mancanza di igiene, zelo e rispetto per la Capoeira.

Non si deve imporre la propria volontà in roda. Nel gioco ciò che prevale è la “malizia”, l’agilità e la conoscenza, non la forza fisica. E’ fondamentale il rispetto di tutte le persone presenti indipendentemente da sesso, colore, religione, classe sociale, età o grado.

La conoscenza del capoerista è qualcosa che nessuno al mondo può togliergli, pertanto va valorizzata attraverso il comportamento. Mestre Pastinha diceva: “nessuno può mostrare tutto ciò che ha. Le consegne e rivelazioni devono esser date a pochi. Questo serve nella capoeira, nella famiglia e nella vita. Ci sono segreti che non possono essere rivelati a tutte le persone. Ci sono momenti che non possono essere condivisi con nessuno.”
C. Mestre Angelo Capacete
http://www.capacetecapoeira.com

I libri tra le nuvole

libynubDai burocrati di quelle parti viene chiamata “pobreza paupérrima“, più che una definizione sembra un’enfatizzazione scherzosa…invece vuole identificare coloro che mangiano una sola volta al giorno, quasi sempre ciò che produce un piccolo appezzamento di terra da loro stessi coltivato. Siamo nella parte nord del Perù, provincia di Cajamarca. Da quelle parti si produce moltissima lenticchia, poi caffè, riso, fagioli, soia e mais, ma i contadini non vengono pagati adeguatamente per i prodotti della loro terra. Circa l’ottanta per cento della popolazione soffre in qualche modo la fame ed il 65% dei bambini è denutrito, in alcuni luoghi si arriva al 20% di analfabetismo; il tutto in una zona che vanta le miniere d’oro tra le più ricche del continente.

Su quei monti ostili e splendidi qualcuno da oltre 40 anni compie un rituale relativamente nuovo che però sa di profonda antichità: la bibliotecaria cammina per portare i libri. Non esiste un luogo fisico chiamato biblioteca, non esistono bibliotecari che catalogano dietro la scrivania ed attendono i lettori. Preparano il loro pacco di libri, lo zaino e si mettono in marcia, sono attivi anziché passivi. Nel frattempo nella provincia vicina un’altro bibliotecario fa la stessa cosa prendendo il cammino inverso, le piccole comunità si scambiano i libri che hanno. Un gesto potente e poetico che acquisisce una forza straordinaria nella reiterazione costante. Questa rete di gesti, azioni e persone prende il nome di Red de bibliotecas rurales de Cajamarca.

Quella servita dalla rete è una comunità rurale e molto spesso i bibliotecari camminatori sono essi stessi contadini, gli obiettivi di questo servizio sono il riconoscimento ed il mantenimento della cultura comunitaria, lo scambio di informazioni tramite i libri, la produzione di materiale bibliografico che scaturisce dalla conoscenza della popolazione, la promozione della formazione di gruppi di lettura, il riconoscimento dei saperi tradizionali e l’appoggio alle attività culturali delle comunità contadine appartenenti alla rete.

Un giorno un regista italiano coglie l’aspetto intensamente poetico e resistente di questa pratica e lo trasforma in un documentario che è un inno alla lettura ed agli abitanti di quei luoghi. In effetti è un regista un po’ particolare: Pier Paolo Giarolo nasce a Comodoro Rivadavia, in Argentina, nel 1970. Ha un diploma di pianoforte al Conservatorio di Vicenza, nel 2006 ottiene la licenza per l’esercizio di Cinemambulante e crea la Outroad cine production, che definisce così: Outroad è una società di produzione. Ha sede in un furgone che si chiama sultappetovolante. Outroad e sultappetovolante pagano le tasse e rispettano i limiti di velocità. Di solito parcheggiamo di fronte al mare a patto che non ci sia tanta gente. Outroad è una società di produzione che usa il pannello solare, fa la raccolta differenziata, diventa un’officina durante le riprese, si trasforma in cinemambulante quando bisogna far cassa. E poi nel furgone ci sono una biblioteca, un pianoforte, una stufa a legna e tanti film da studiare.

Mi pare evidente che l’amore per i libri ed il bisogno di muoversi di Giarolo siano entrati perfettamente in risonanza con il progetto della Red de bibliotecas rurales, ed è forse per questo che il film, che si intitola Libros y nubes, è molto riuscito ed ha vinto il premio Genziana d’argento al 61° Trento film festival. Ora, come al solito, bisogna solo sperare che venga ben distribuito.

L’Esercizio creativo

FotoGiovenaleCosa c’è di peggio per un lavoratore dell’essere sfruttato? Perdere il lavoro e non essere più sfruttato. Così Gustavo Esteva ci rende lampante il paradosso in cui viviamo: esiste un’invisibile rete che ci reclude in gabbie piene di aspettative e prive di speranza. E’ auspicabile l’abbandono del lavoro come lo concepiamo ancora oggi: è indispensabile mettere in campo le facoltà creative di ognuno perché possa dare un senso a ciò che si fa nella vita.

Esteva è venuto da Oaxaca in Messico, dove ha fondato L’Università della Terra, un luogo frequentato da molti indigeni, in cui chiunque può accedere per acquisire dei saperi e poi applicarli all’interno della propria comunità, senza per forza dover frequentare un ciclo di studi predeterminato. I saperi sono veicolati dallo scambio e dalla convivialità, ed incredibilmente tutto ciò ha grande successo. Gli indios avevano da tempo cominciato a manifestare insofferenza per le scuole create “dall’alto” nei loro villaggi; cacciavano gli insegnanti, non le facevano frequentare dai figli. Si scopre che quello che a scuola viene insegnato è percepito come inutile o dannoso: i ragazzi scolarizzati si distaccano dalle comunità di appartenenza per andare ad ingrossare le fila dei disoccupati o degli occupati subalterni nelle grandi città, senza apprendere i saperi tradizionali. Così nasce l’idea di Unitierra, un luogo di sperimentazione pratica, in cui oltretutto molte delle teorie di Ivan Illich sembrano rivelarsi fondate. Esteva proviene da una famiglia messicana di classe media, è stato vicino ad Illich ed ha portato avanti il suo pensiero, si definisce un attivista deprofessionalizzato ed è stato un Assessore Zapatista durante il periodo degli accordi di San Andrés. Sabato scorso ha tenuto un discorso presso la biblioteca Fabrizio Giovenale, un posto accogliente e di grande bellezza in cui ho messo piede per la prima volta.

Si inizia parlando di crisi, quella che chiama “crisi del modo di produzione capitalista”, basato sullo sfruttamento del lavoro che ora si va tramutando in meccanismo di accumulo e rapina. A suo avviso siamo già in una fase postcapitalista in cui il potere deve inevitabilmente ricorrere alla forza per mantenere il controllo, smantellando progressivamente le forme democratiche dello stato. Di contro il malcontento produce molteplici resistenze, sia di tipo conservatore che progressista.

Esteva fa una distinzione importante fra ribellione, che si oppone ai poteri costituiti, e rivoluzione, che non si occupa più di chi c’è al potere, ma produce un cambiamento reale a prescindere. La rivoluzione non potrà essere innescata, come le precedenti, dall’alto verso il basso, ma al contrario sarà prodotta dal basso, il che è un bene poiché le rivoluzioni passate alla lunga hanno creato solo un aggiustamento dei poteri e non un reale cambiamento. In questo quadro lo stato non può più essere l’agente principale della trasformazione. La sfida è la ricerca di nuove forme di convivenza e di nuove parole per nuovi concetti. In una fase in cui i concetti nuovi sono in formazione e le nuove parole non sono ancora affiorate è molto importante dare rilievo alla percezione artistica: prestare attenzione agli artisti e riconoscere e coltivare in noi stessi i segnali di creatività.

Intanto appaiono all’orizzonte alcuni pilastri di questo nuovo modo di pensare, uno di essi è la Comunità, l’abbandono dell’individualismo e l’assunzione del fatto che l’essere umano è esso stesso relazione: il passaggio dall’io al noi, inteso non come massa ma come sistema di relazioni dirette. L’altro è senza dubbio la Merce, cui si continua a riconoscere l’utilità ma non più il valore.

Esteva fin dagli anni sessanta esamina le caratteristiche della crisi attuale, cercando di identificare i rischi e le opportunità che da essa derivano e di dare forma a nuove opportunità di trasformazione sociale. A suo avviso il rischio più grande è quello di una deriva autoritaria senza precedenti, quella che chiama la Expertocracia fascistoide.

Affrontare dunque lo stato che ci perseguita, ma per prima cosa è inevitabile sopprimere le necessità che ora esso soddisfa, come la sanità e l’educazione pubblica, che sono insostenibili e creano più disuguaglianze di quante ne riducano. Se all’educazione sostituiamo l’apprendimento, come quello che applica il neonato per imparare a parlare o camminare, ci ritroviamo in un sistema di relazione con l’altro, in cui un’altro valore fondante è l’amicizia. Si, lo so, è un salto nel buio, un’apnea, la penso come voi. Per noi che ancora non abbiamo perso proprio tutto forse la traiettoria sarà differente, non lo saprei dire, ma quel che mi pare chiaro è che dipenderà da noi. Una rivoluzione, non un cataclisma, in cui le persone comuni prendono in mano la propria vita e la cambiano radicalmente, assumendo nuovi comportamenti. In questo processo le donne occupano un ruolo fondamentale nella fase di uscita dalla “civiltà occidentale di tipo patriarcale”.

Un discorso importante, pieno di suggestioni e di aperture verso orizzonti possibili, preceduto da un pranzo conviviale all’aperto in una giornata assolata che ha ridestato ottimismo e speranze in tutti i partecipanti ed ha aperto nuove riflessioni. L’iniziativa celebrava il primo anno di vita della rivista Comune-info. Il giorno dopo Esteva ha tenuto un’altra conferenza al Teatro Valle. Mi auguro di poter approfondire nuovamente questi temi in una sua prossima  visita.

Laboratorio America Latina

aaherrerayreissigE’ proprio vero che in questa fase storica L’America Latina, che da qui continuiamo bellamente ad ignorare*, sta diventando un laboratorio sociale e culturale molto importante. Il concetto di escrache è arrivato nella “madrepatria” Spagna, come per la prima volta fece alla fine dell’ottocento il modernismo in letteratura, come ultimamente avevano già fatto il concetto di Bene Comune e Buen vivir  mutuati dalla cultura dei popoli nativi americanima la polizia spagnola ci sorprende, guardate un po’ qui.

 

*Per approfondimenti:

Gianni Minà 
Il Continente desaparecido è ricomparso
Sperling & Kupfer Editori

“Questo nuovo libro con dodici interviste a protagonisti del pensiero latinoamericano e non, che si oppone alla globalizzazione economica, è un tentativo di segnalare una trasformazione in atto in una parte del mondo, quella a sud degli Stati Uniti, che procurerà, a breve, nel pianeta, novità inattese o sorprendenti, anche se l’informazione di moda non ne vuole sapere, o fa finta di non accorgersene.”

Danze del Carnevale di Oruro

and-caporalOruro è una città dell’altipiano boliviano, il cui nome deriva da una lingua indigena e significa “centro della terra”. Ospita il secondo carnevale più importante dell’America Latina dopo quello di Rio de Janeiro. Il Carnevale di Oruro è stato proclamato nel 2001 dall’Unesco Opera maestra del Patrimonio Orale e Intangibile dell’umanità. A parte il desfile, si tratta di una festa assai diversa da quella carioca, che siamo abituati a vedere in televisione. E’ allo stesso tempo una celebrazione religiosa ed il risultato di un processo sincretico ed interculturale: la festa di Ito della civiltà Uru, di epoca precolombiana, venne progressivamente trasformata in un rituale cristiano di devozione alla Vergine del Socavón. Tipiche di questa festa sono le numerose danze con cui si accompagna la sfilata: Caporales, Tinkus, Incas, LLamerada, Kullawada e soprattutto Diablada e Morenada.
La Morenada o Danza de los Morenos sembra sia originaria proprio di Oruro. Le sue origini risalgono ai tempi della colonizzazione, quando gli schiavi africani comparvero in città. Intorno alla metà del ‘500 a Potosì sfilò una fastosa processione di schiavi e dei loro padroni, i nordafricani e gli etiopi erano associati al mondo musulmano, l’immagine degli schiavi africani e dei mori nell’immaginario andino inevitabilmente si sovrappose. Stando alla cronaca di Guamán Poma de Ayala gli schiavi erano imbroglioni, ladri, ubriaconi e molestavano con frequenza le donne indigene, ma riconosce anche che le pessime condizioni di vita e la cattiva alimentazione non lasciavano loro molte altre scelte. Dapprima solo gli indigeni partecipavano alla danza travestendosi da neri, poi progressivamente divenne un’espressione condivisa da tutte le etnie e le classi sociali della città.
Nella danza i caratteristici passi dei neri che pigiano esageratamente la terra sono relazionati con il pestaggio dell’uva, poichè gli schiavi erano stati trasferiti nella zona per il lavoro nei campi. Le maschere accentuano i caratteri somatici con occhi che escono dalle orbite e labbra grosse con la lingua di fuori, a simboleggiare la fatica degli schiavi. Il caporale è il capo delle truppe dei morenos, detto anche Re Moreno o Super Achachi, porta una corona dorata e sembra sia una delle maschere più antiche della danza; rappresenta la conservazione della storia e della tradizione orale ed è il personaggio principale della danza.
mdiablo088La diablada è la danza simbolo del Carnevale di Oruro, rappresenta il confronto tra le forze del bene e quelle del male. Secondo uno studio effettuato proprio dall’Unesco, questa danza ha le sue radici nei rituali ancestrali Uru, in particolare nella danza chiamata Llama llama tipica della Festa dedicata al dio Tiw, protettore delle miniere, dei laghi, dei fiumi e delle caverne, di cui Oruro era il principale centro religioso. Il rituale si consolida attraverso un lento processo storico che abbraccia diversi secoli, dalla fine del ’700 al 1944. La danza progressivamente si trasforma da rito peculiare degli indigeni minatori a manifestazione folklorica di tutta la società di Oruro. Nel ‘44 i gruppi di “comparsas de diablos” vengono definiti Diabladas. La prima “Diablada” nasce però nel 1904 con il nome di “Gran Tradicional Auténtica Diablada Oruro”. Si definiscono musiche, costumi, coreografie e trame. Un’altra teoria fa risalire le origini della danza ad un rituale Aimara in onore della Pachamama, divinità protettrice che rappresenta la terra e la fecondità. Ma alcune fonti riportano invece che gli abitanti aymara vedendo gli Uru mascherati li avrebbero chiamati llama llama. Sicuro è che con l’evangelizzazione gli Uru continuarono le proprie tradizioni di nascosto, ne venne fuori un singolare sincretismo in cui il dio Huari, el Tio, si nascondeva dietro il Diavolo pentito dei suoi peccati e convertitosi in devoto alla vergine di Socoyan. Le festività native furono proibite in tutto il paese durante il Viceregno ad esclusione proprio di quelle della città di Oruro, in seguito anche in città si adattarono alle tradizioni cristiane and-diablotrasformandosi nel Carnaval de Oruro. Una leggenda racconta la storia del Dio Wari che in lingua uru vuol dire anima: mentre ascoltava gli Uru venerare Pachacamaj, rappresentato da Inti, si vendicò inviando formiche, lucertole, rospi e serpenti, considerati sacri. Ma gli Uru furono protetti da Ñusta, mutato in condor, che trasformò le creature nelle colline sacre sui quattro punti cardinali di Oruro ( “Sagrada serranía de los urus”), formando così un anfiteatro naturale che divenne centro di pellegrinaggio. Gli animali che compaiono nella leggenda sono rappresentati da altrettante maschere del Carnevale. Molte fonti riportano che i diablos, protagonisti di questa danza, rimpiazzerebbero i morti disseppelliti dalle tombe di antichi rituali preispanici, diventando i mediatori tra il popolo e la Vergine, destinataria delle cerimonie. Il saggio del 1961 sulla Diablada della storica ed etnomusicologa Julia Elena Fortún intitolato La danza de los diablos, stabilisce una relazione fra la diablada ed alcune danze tipiche della Catalogna (Ball de diables e Els sets pecats capitals).
chinasupay084La danza narra della lotta fra l’arcangelo Michele e Lucifero, la diavolessa China Supay ed altri diavoli li accompagnano, alcune teorie ritengono che la danza sia stata influenzata dall’introduzione nelle zone andine degli autos sacaramentales, un tipo di teatro sacro di provenienza spagnola. Una leggenda racconta che durante il sabato di carnevale del 1789 un bandito di nome Anselmo Bellarmino soprannominato Nina-Nina o Chiru-Chiru venne ucciso in un agguato e prima di morire ebbe la visione della Vergine della Candelaria. L’immagine della Vergine a grandezza naturale apparve miracolosamente anche nella casa del bandito dopo la sua morte. L’anno seguente una truppa di diavoli danzarono in onore della Vergine durante il carnevale. Lo studioso Max Harris ritiene che questa leggenda potrebbe essere connessa alla ribellione di Túpac Amaru II. Le musiche più antiche che accompagnano la danza sono del XVII secolo: suoni intensi e metallici delle trombe e dei contrabbassi mischiati agli strumenti aerofoni autoctoni.
Il sabato, proprio oggi, si realizza la fastosa entrata del Carnevale, in cui i gruppi folklorici si cimentano in spettacolari e complesse coreografie. E’ il giorno centrale della festa, chiamato anche sabato di pellegrinaggio. Per maggiori informazioni rimando al documentario del MUSEF,  Museo nazionale di etnografia e folklore boliviano.

Tina Modotti

200px-Tina_Modotti_-_Edward_Weston, (1)Tinissima: il dogma e la passione, si intitola così il nuovo documentario sulla vita di Tina Modotti prodotto da Cinemazero in collaborazione con il Fondo Nacional para la cultura y las artes (fonca) del Messico.

La regia è della messicana Laura Martinez Diaz. Speriamo che si riesca a vedere un po’ in giro anche qui in Italia!

qui una recensione di Artribune. qui se lo volete vedere in spagnolo.

Oltre il corteo: l’escrache

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Sembrerebbe che il verbo “escrachar” derivi dal lunfardo, l‘escrache è citato già nel 1879 come una truffa legata ad un falso biglietto vincente della lotteria, oppure potrebbe provenire dal dialetto genovese o infine dall’inglese to scrach, grattare.

A metà degli anni ’90 l’associazione dei figli dei desaparecidos HIJOS utilizza il sostantivo “escrache” per dare nome alla propria forma di lotta, nel periodo in cui i condannati del Proceso de Reorganización Nacional avevano goduto dell’indulto concesso da Carlos Menem. Si tratta in sintesi di manifestazioni organizzate presso i luoghi di residenza dei militari colpevoli di genocidio: mediante slogan, canti, musica, rappresentazioni teatrali, la comunità del quartiere viene avvisata che al suo interno vive un feroce assassino.

Fino a quel momento i figli dei desaparecidos avevano portato in silenzio, accompagnati da paure e vergogna la propria condizione, da allora invece decisero di esprimerla pubblicamente accettando e rivendicando un’identità sia individuale che di gruppo. Prima di questo evento HIJOS aveva creato una Comisión de hermanos che aveva l’obiettivo di recuperare l’identità dei cinquecento bambini e bambine sequestrati dai militari. Tra loro si cominciarono a considerare fratelli, in quanto figli di una generazione che aveva cercato di lottare per un mondo migliore e per questo era stata annientata. HIJOS si definisce come una “costruzione affettiva e politica”, così come le Madres de Plaza de Mayo, la loro è una comunità completamente intrisa della dimensione affettiva e questo ne marca le differenze con qualsiasi altra comunità che lotta per una causa motivata da interessi comuni.

Nel ’96 cambia il clima all’interno della società argentina e ciò provoca un profondo mutamento nel modo di pensare di molti settori sociali. Un anno prima infatti il capitano Adolfo Scilingo aveva reso le sue scabrose dichiarazioni alla stampa. Era la prima volta che si veniva a sapere per bocca di un boia ciò che fino ad allora proveniva solo dalle testimonianze delle vittime. Dopo Scilingo nessuna persona in buona fede poteva ammettere che non fosse stato commesso un genocidio durante la dittatura. Inoltre i gruppi di ragazzi confluiti in HIJOS avevano portato avanti un lavoro di analisi individuale e collettivo assieme a gruppi di psicologi in diverse aree del paese.

Dopo i primi tentativi che consistevano in rapidi flash mob a cui partecipavano un gruppo sparuto di attivisti leggendo un comunicato e tirando vernice sulla porta di casa dell’escrachado, efficaci dal punto di vista mediatico ma poco amalgamati con il tessuto sociale del vicinato, si comprende molto velocemente che l’escrache è efficace e duraturo solo se lavora per ottenere consenso nel quartiere. “Che il carcere siano i vicini” dice la Mesa de escrache popular. Si parla con i vicini, si fa volantinaggio, poiché l’obiettivo non è più la richiesta di un processo allo Stato, ma la costruzione comunitaria della condanna sociale. Così l’escrache assume la forma di una festa creativa che cerca di superare l’impotenza, diventando a sua volta un generatore di potenza che attiva la comunità. HIJOS vuole che l’escrache non abbia un proprietario bensì che la gente stessa se ne impossessi perché “tutti siamo figli della stessa storia”. Nell’escrache i tempi della protesta si intrecciano a quelli del carnevale e del teatro al fine di ricreare il tessuto sociale e risvegliare il senso di comunità annientati dalla dittatura. Sorge un nuovo modo di fare politica, accompagnato da una nuova forma estetica che rompe definitivamente con la protesta tradizionale del corteo. Una nuova visione politica che non è focalizzata sull’annichilimento dell’avversario, ma sull’espulsione dei criminali, non chiede ma denuncia mettendo in scena un atto liberatorio e catartico che di per se stesso riconfigura simbolicamente gli equilibri senza aspettarsi più un intervento  super partes. Questa organizzazione non separa dunque gli obiettivi dai metodi di lotta. L’unità fra quello che fanno e quello che sono elimina la divisione tra fini e mezzi e tra soggetti e forme di lotta.  In America Latina i gruppi come Madres, HIJOS, le comunità indigene, i sem terra, le organizzazioni cristiane di base sono caratterizzati dall’autoaffermazione, dal rendere visibili alla società nuovi soggetti e si trovano a lavorare per separare gli aspetti oppressivi della cultura popolare da quelli emancipativi. Sono gruppi comunità in cui le persone non sono mezzi ma scopi, pertanto il carattere etico resta fondamentale. Il gruppo di Madres occupa da decine di anni uno spazio pubblico in maniera permanente, la Plaza de Mayo, e se ne appropria anche in maniera simbolica: le ceneri di molte madres sono state disperse su quella piazza per loro volontà. Il ruolo giocato dall’aspetto affettivo permette loro di andare oltre ciò che è strumentale e trovare una sintesi senza separare il personale dal politico, il dolore viene trasformato in argomento. E’ probabilmente grazie alla tenacia di questi gruppi che si sono formati per necessità e per affetto, che la mobilitazione sociale in argentina ha assunto una ricchezza ed una grande partecipazione nelle forme di lotta ed è diventata un modello a cui guardare per i movimenti che in tutto il mondo si sono formati in seguito alla crisi del 2008. Per ulteriori approfondimenti è opportuno e doveroso il rimando a Raùl Zibechi, a cui devo molte delle informazioni presenti in questo post, ed in particolare al libro uscito nel 2003 anche in italiano dal titolo Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento (casa editrice Luca Sossella).

 

Festival cinema ambiente e diritti umani in America Latina

oscarnyemeyer-622x414Si è conclusa il 14 dicembre a Roma la terza edizione del Festival che quest’anno ha voluto rendere omaggio al grande architetto brasiliano Oscar Niemeyer, morto il 5 dicembre scorso all’età di 104 anni. Il regista Andrea Bezziccheri ha presentato il suo documentario Oscar Niemeyer – L’Architettura e’ nuda.

In Italia ha suscitato molto scalpore il suo progetto per la costruzione dell’auditorium di Ravello inaugurato a gennaio 2010.

 

Spettacolo #Tessuto

Oggi promuovo uno spettacolo scritto da me che sarà messo in scena ad ARTERIE, festival rassegna di ipotesi espressive nel paesino di Cantalupo in Sabina. Tratta di una immaginaria emigrata brasiliana.

Sabato e Domenica sera al Festival ARTERIE di Cantalupo in Sabina
Cascina Barà presenta
Spettacolo performativo
Da un’idea di Daniela Zambon Scarpari
Scritto da Alessandra De Luca, Daniela Zambon Scarpari e Alessio Trillini
Adattamento per il Teatro: Daniela Zambon Scarpari
Interprete: Daniela Zambon Scarpari
Regia visuale e tag-tool idea: Fupete
Produzione e disegno dal vivo: Alessio Trillini
Musiche: Lorf, Alessandra De Luca
Musica dal vivo: Lorf
Con la collaborazione di Erika Gabbani – Nasonero
L’idea
Spettacolo performativo costruito su una delicata trama visionaria per immagini e sull’interazione fra recitazione, disegno e musica dal vivo.  L’atto teatrale sconfina non tanto spazialmente quanto concettualmente, avvalendosi di altre modalità artistiche ed incorporandole nell’azione, dando vita ad uno spettacolo fluido e mobile, in certi passi performativo, che qualcuno ha definito “quasi un film dal vivo”. Un esperimento che ha la finalità di stabilire un delicato rapporto di fiducia con il pubblico attraverso un dialogo fra modalità espressive diverse che costruiscono situazioni poetiche, con inoltre lo scopo di trasferire agli spettatori e trascendere contenuti forti, violenti, talvolta brutali. Un tipo di teatro sociale che indaga due ordini di conflitti contemporanei: l’esclusione dello straniero che trova la sua deriva nell’annientamento dell’individualità, e l’impossibilità di comprendere in pieno il punto di vista dell’altro all’interno di un rapporto intergenerazionale, in specifico quello tra madre e figlia.
La storia
Nell’arco di una notte Mia racconta la storia di sua madre Teresinha, un’immigrata che lavorava in Italia come sarta, scomparsa misteriosamente. Teresinha fin da piccola collezionava parole, stava costruendo un diario-patchwork. Mia ritrova il diario di tessuto all’arrivo in casa di sua madre, ma la casa è vuota. Leggendo il diario scopre parti di se stessa ed inizia a conoscere più a fondo la storia di questa donna che non ha mai potuto occuparsi di lei: la durezza della sua vita, la fuga, la violenza, la miseria. La sarta operaia è sempre vissuta in clandestinità, incastrata in un mondo sospeso, che non si trova né nella sua patria d’origine né in quella che la accoglie per lavoro. Il patchwork è incompleto e Mia decide di finirlo, ma si punge con un ago e inizia a dissanguarsi, prova a fermare l’emorragia ma non ci riesce come per un lento, malvagio incantesimo. Tanto più comprenderà la storia di sua madre e la sua, quanto più il destino di Mia si sovrapporrà a quello di Teresinha, ma troverà nuovi modi per torturarla…
Chi
Lo spettacolo è frutto dell’incontro di persone dedite ad attività artistiche diverse e con background differenti, che si sono organizzate per lavorare alla sua realizzazione come trovandosi in uno spazio pubblico astratto, poroso, privo di confini e di restrizioni categoriche. Ne nasce una regia collettiva, un lavoro corale sul testo, un Collettivo che risiede idealmente nella Cascina Barà.- dintorni di Pisa. Lo spettacolo è stato finalista al Premio 12 donne – Città di Rieti 2011 e semifinalista alla Borsa Teatrale Anna Pancirolli di Milano 2012.