La terra e l’arte: Vik Muniz

Nel 2003 mitrovo ad assistere all’inaugurazione del MACRO nei pressi di Porta Pia, finalmente un Museo d’arte contemporanea nella città di Roma. Fra i vari artisti che espongono mi colpisce subito e solo Vik Muniz. Disegni incredibili realizzati con la marmellata che sembrano acquerelli, piccoli schizzi dall’inusitata perfezione formale con tratti segnati da fili di lana ed infine grandi ritratti particolareggiatissimi composti interamente da coriandoli di carta di riviste e giornali. In quel momento il riuso ed il riciclo non erano ancora granché di moda da noi, si trattava di un’operazione artistica assolutamente originale e strepitosamente sofisticata. Dato il nome, ho subito tratto facili conclusioni: un artista tedesco, vista anche la sua cultura di provenienza molto più attenta all’ambiente rispetto alla nostra, ha realizzato questi capolavori. Invece leggendo la biografia dell’artista scopro con sorpresa una realtà totalmente diversa: i pregiudizi ed i luoghi comuni… Vik sta per Vicente José de Oliveira Muniz, brasiliano di San Paolo classe ’61 che dopo aver ricevuto un risarcimento per una pallottola che lo ha colpito “accidentalmente” si è trasferito a New York ed ha aperto uno studio a Brooklin. Ora Vik ha appena concluso una mostra presso l’Ambasciata brasiliana di Piazza Navona, ma è il documentario incentrato sulla sua ultima operazione socio-culturale che lo sta portando definitivamente alla ribalta: Waste Land, un film di Lucy Walker, Karen Harley e João Jardim.

Ai confini di Rio de Janeiro, con il passare del tempo e la mancanza di controllo del territorio da parte delle autorità, ora si trova la più grande discarica del mondo che quotidianamente consente la sopravvivenza di migliaia di persone, i cosiddetti catadores, ovvero riciclatori: incessantemente persone di ogni età senza un posto nella società si aggirano tra gli enormi cumuli di rifiuti alla ricerca di qualsiasi cosa sia riciclabile cioè vendibile o barattabile per la propria sopravvivenza. Vik torna in Brasile per vivere un po’ di tempo a Jardim Gramacho, un luogo in cui il 50% della popolazione vive di riciclaggio, con l’obiettivo di creare un’opera d’arte con i rifiuti. Man mano il progetto iniziale si trasforma e coinvolge gli stessi catadores. La regista inglese Lucy Walker si incarica delle riprese che testimoniano la crescita e l’evoluzione di questo gruppo, che ha realizzato un’opera d’arte dalla spazzatura raccolta.  La spazzatura si è trasformata in immagini strepitose, che a loro volta sono state fotografate e trasformate in iconografie giganti composte dai materiali riciclabili. I catadores hanno avuto un’opportunità di riscatto dalla propria miseria ed il film, costato comunque moltissimo a causa dei quattro anni di lavorazione, è stato candidato agli Oscar 2011 come miglior documentario. “Volevo cambiare la mentalità delle persone a partire dalle cose che loro usano nel quotidiano: e la prima cosa sono i rifiuti. C’è talmente tanto eccesso, qui, da diventare arte”, dice ad un certo punto Muniz nel film. L’ultima notizia è che grazie a questa operazione l’artista devolverà duecentocinquantamila dollari ad un’associazione che difende i diritti dei catadores della discarica di Jardim Gramacho, che serviranno per la creazione di un vero centro di riciclaggio al posto della discarica. Un prova che l’arte ha una sua ragion d’essere: può effettivamente migliorare la realtà.

Il Museo vivo: persone che fanno un Museo

Nella città di São Paulo esiste un museo speciale: il Museu da Pessoa (Museo della Persona), che raccoglie storie di gente comune con l’intento di valorizzarle e diffonderle nella società al fine di rendere la Storia del mondo più equa e rappresentativa di tutti i segmenti della società. I principi cardine che si trovano dietro questo progetto sono molteplici. Per prima cosa si parte dal presupposto che se ogni vita ha valore deve far parte della memoria sociale. Ascoltare l’altro è essenziale per rispettarlo e comprenderlo come pari, inoltre si riconosce ad ogni persona un ruolo come agente di trasformazione della Storia. Il Museo si prefigge l’obiettivo di integrare gli individui e i distinti gruppi sociali al fine di rompere l’isolamento ed implementare processi fondamentali per mutare le relazioni sociali, politiche ed economiche, ovvero costruire una rete internazionale di storie di vita capace di contribuire ad un positivo mutamento sociale. Il Museo nasce nel 1991, in tempi in cui la Rete non era ancora diffusa, ma già venne progettato come museo “virtuale”, ovvero consisteva in una raccolta di storie di vita organizzata su base digitale (Banche dati, CD Rom etc.) al fine di creare un nuovo spazio in cui, chiunque volesse, potesse avere l’opportunità di preservare la propria storia. Attualmente il Museo è formato da quattro nuclei territoriali autonomi: Brasile, Canada, Stati Uniti e Portogallo; quello brasiliano è stato il primo e fin dall’inizio nacque con l’obiettivo di trovare modalità per autofinanziarsi e poter vivere e crescere autonomamente. A questo scopo il museo realizza numerosi progetti educativi, di memoria istituzionale e sviluppo locale basati su una metodologia di Storia orale i quali, oltre a far nascere nuovi prodotti come elaborati, pubblicazioni o audiovisivi, aggiungono nuove storie alla collezione museale. Nel 2003 viene lanciato il Portale del Museu da Pessoa, gli orizzonti si ampliano esponenzialmente: esposizioni virtuali, video, costruzione di reti e soprattutto la possibilità di ricevere nuovo materiale direttamente attraverso il Portale, tramite la sezione “Conte sua História”.  Un’operazione culturale importante, promossa da un’organizzazione della società civile, che andrebbe esportata e diffusa in tutti quei Paesi che hanno a cuore il proprio futuro e sanno che assolutamente non possono permettersi di lasciare indietro nessuno.

http://www.museudapessoa.net/

Pixação

Unisce due pratiche urbane, il graffitismo ed il parkour, ma essenzialmente è una forma di arte visiva. Emerge intorno al 1980 a São Paulo e rapidamente si trasforma in una modalità aggressiva e controversa tipica della città. Pixo è il risultato della pixação, uno stile calligrafico che deriva dalle scritte dei gruppi heavy metal e che sostanzialmente si rifà alle rune germaniche. Sicuramente esiste una connessione anche con gli stili calligrafici delle Gang chicane di San Francisco. Si tratta comunque di uno stile molto peculiare, una forma di espressione illegale nata prevalentemente da persone che vivono in aree estremamente marginalizzate e non hanno nulla da perdere e ben poco da aspettarsi, il loro obiettivo è vedere il proprio nome ed i propri messaggi scritti dovunque su edifici pubblici riconoscibili, compiendo acrobazie azzardate pur di arrivare a “conquistarli”. Nell’ottobre 2008 un gruppo di 40 pixowriters invade la Biennale di São Paulo, quell’anno sopranominata “Biennale del vuoto”. I pixoteros spiegarono, con discorsi e slogan di protesta, che la loro era la vera arte brasiliana e furono ampiamente applauditi dal pubblico prima di dover scappare dalla polizia.

Una megalopoli, una forma d’arte profondamente radicata nella società, espressa da settori marginali, che scuote e divide l’opinione pubblica e la vecchia Europa non ne sa praticamente nulla.

http://www.spexis.me/2009/11/samba-capoeira-caipirinhaand-pixacao/